Dal 2020 al 2023 il numero di contratti di breve durata cessati è costantemente aumentato. Lo scorso anno oltre 4 milioni (4.202.715) di rapporti di lavoro cessati nel 2023 hanno avuto una durata effettiva fino a 30 giorni, con un aumento del 3% rispetto al 2022. E nel dettaglio: oltre 1milione e mezzo di contratti (1.672.264) sono durati solamente 1 giorno, +9% rispetto all’anno precedente; 673.931 sono durati da 2 a 3 giorni, + 9% rispetto al 2022 e 1.856.520 sono i contratti durati da 4 fino a 30 giorni, unico dato che diminuisce rispetto all’anno precedente.

I dati sono quelli forniti dai rapporti trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie 2023 del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. I numeri ci parlano della vita delle persone per le quali la crescita dell’occupazione non basta perché la precarietà, la povertà anche del lavoro continuano a essere le vere questioni da affrontare.

Troppo poche anche le ore

C’è anche Eurostat a certificare lo stato di difficoltà del mercato del lavoro, perché oltre il 5% degli occupati dipendenti nel nostro Paese lavora settimanalmente da 1 a 9 ore e da 10 a 19 ore; l’8,4% degli occupati lavora con orari settimanali da 20 a 24 ore. Un dato che conferma il problema del part time involontario e ancora di più della povertà del lavoro. L’altra faccia della medaglia è una percentuale superiore al 47% di occupati che lavora settimanalmente dalle 40 alle 44 ore fino a raggiungere le 45-49 del 4,4% dei lavoratori e le 50-59 ore del 3%.

L’intensità lavorativa evidenzia che il tema orario va affrontato sia con una legislazione di supporto sia attraverso la contrattazione perché fattore condizionante della vita delle persone, dal lavoro alla pensione.

Durata e intensità: così non va

Contratti che durano meno di una stagione e l’esiguità delle ore giornaliere lavorate confermano le priorità della Cgil, ma che il governo non affronta, e chiamano alla responsabilità anche il sistema delle imprese. Contrastare la precarietà, la povertà del lavoro è obiettivo prioritario. Dignità, qualità, stabilità, tutele non sono slogan ma anche sostanza perché parlano alla libertà e autodeterminazione delle persone, dei giovani e delle donne, superando disuguaglianze e divari e sono il fondamento per qualificare anche un sistema produttivo che ancora oggi basa la propria competizione sui costi del lavoro. Una priorità che guarda anche alla sicurezza sul lavoro.

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Meno salute e sicurezza

Se sommiamo durata, intensità, tipologie contrattuali a termine e discontinue, fattori tipici della precarietà, si giunge all’Analisi Inail dell’andamento infortunistico dei lavoratori per il periodo 2018-2022. Una ricerca che mostra come le frequenze di infortunio per i contratti a tempo determinato sia più alta di quella dei contratti a tempo indeterminato (3,28% e 2,08%) mostrando, anche se per entrambe le tipologie, una crescita rispetto al 2021.

Lo stesso vale per le morti sul lavoro. Sul fronte denunce di infortunio anche con esito mortale è evidente la crescita per i contratti a tempo determinato con 100.019 denunce nel 2022 rispetto al 2021 (dove erano 89.131) passando quindi ad un 24,2% di incidenza sul totale degli occupati rispetto al 23,9% dell’anno precedente. Condizione purtroppo analoga per le denunce di infortunio con esito mortale che nel 2022 sono state 274 (con una incidenza sul totale del 28,8%) a fronte dei 265 (27,8% sul totale) nel 2021.

Il responsabile Salute e sicurezza della Cgil, Sebastiano Calleri, spiega che i motivi risiedono nei “mancati investimenti sulla persona, perché spesso si tratta di sostituzioni di emergenza e nella stragrande maggioranza dei casi non viene fatta formazione, diversamente da quanto prevede per legge il Testo unico sulla sicurezza. I lavoratori non vengono nemmeno informati sui rischi attinenti alla mansione e, se il lavoratore è già stato impiegato in azienda, non gli viene fornito l’aggiornamento. Per questo i dati Inail ci dicono che molti sono gli infortuni al primo giorno di lavoro”.

"C’è un’evidente abitudine all’elusione e all’evasione dell’obbligo informativo e formativo - prosegue Calleri –. Lo stesso vale per le malattie professionali, che spesso si manifestano a distanza di tempo e diviene difficile dimostrarne l’origine. Inoltre si tratta di lavoratori ricattabili che non denunciano malattia e infortunio per paura di perdere il lavoro che hanno e di non trovarne un altro”. 

A condizionare l’analisi Inail 2018-2022 anche gli effetti della pandemia da Covid19, ma è ormai un dato di realtà innegabile il legame che c’è tra condizione di precarietà, discontinuità del lavoro e la mancata copertura in termini di formazione, prevenzione, sicurezza sul lavoro.

Le proposte

Dalla contrattazione alle mobilitazioni, la Cgil avanza le proprie soluzioni legislative con gli strumenti a sua disposizione. Lo sciopero dello scorso 11 aprile è stato seguito dalla consegna presso la Corte di Cassazione dei quesiti referendari contro licenziamenti, precarietà, salute e sicurezza negli appalti e che porterà alla presentazione di una proposta di legge d’iniziativa popolare per mettere al centro del lavoro dignità delle condizioni e del reddito, qualità, tutele, sicurezza. Non ultima la manifestazione che si terrà a Roma sabato 20 aprile “ Salute e sicurezza, diritto alla cura e sanità pubblica, riforma fiscale e tutela dei salari. Adesso basta!”.

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