Tutelare i lavoratori ed evitare la vendita dell’azienda a spezzatino. Questi gli obiettivi dei sindacati nella vicenda della Shernon Holding, la società che dall’agosto scorso gestiva i 55 punti vendita di Mercatone Uno, dichiarata fallita dal Tribunale di Milano. Un obiettivo che verrà ribadito con forza oggi (giovedì 30 maggio), nell’incontro che si tiene a Roma, presso il ministero dello Sviluppo economico, cui partecipano anche creditori e fornitori. Per i 1.800 dipendenti (che hanno scoperto di essere licenziati via Facebook e Whatsapp nella notte tra venerdì 24 e sabato 25 maggio) l’ipotesi più indicata è quella della cassa integrazione straordinaria, su cui si registra anche la convergenza delle varie Regioni coinvolte.

Una cordata di imprese che coinvolga direttamente le aziende fornitrici per rilevare e salvare Mercatone Uno. Questa la proposta dei lavoratori riuniti oggi in presidio davanti alla sede storica di Imola (in via Molino Rosso). “È una giornata importante: a Roma si riunisce il tavolo ministeriale con i fornitori di Mercatone, mentre a Bologna si tiene una riunione in Regione per cercare di dare continuità al reddito dei dipendenti”, spiega Stefano Biosa (Filcams Cgil): “Chiediamo che già da oggi il ministero dello Sviluppo economico proponga di organizzare una cordata, di cui fanno parte anche le aziende fornitrici, provare a salvare l’azienda”. Biosa conclude rilevando che questo “è l'unico modo per salvare posti di lavoro diretti e indiretti, e per non trascinare nel baratro anche decine e decine di piccole aziende artigiane”.

“Occorre trovare una soluzione al fallimento della società proprietaria di Mercatone Uno e mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità”. A dirlo è il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “Gli accordi vanno sempre rispettati, a maggior ragione se vengono presi di fronte al governo che è garante delle promesse fatte da un'azienda, che non può permettersi di prendere in giro lavoratori e ministero”. Per il segretario generale della Cgil “è intollerabile e vergognoso che 1800 lavoratori e le loro famiglie siano venute a conoscenza del fallimento via Facebook. Adesso è urgente avere assicurazioni sulla salvaguardia dei posti di lavoro e preservare il futuro dei lavoratori e delle loro famiglie”.

Nell’incontro urgente che si è tenuto al ministero lunedì 27 maggio, il titolare del dicastero Di Maio ha affermato che “l'obiettivo minimo da attuare subito è la cigs per i lavoratori”. Il vicepremier ha aggiunto che “il tribunale di Bologna deve autorizzare la procedura di amministrazione straordinaria e riprendere l'esercizio provvisorio il prima possibile, così da consentire il ricorso agli ammortizzatori sociali”. Poi partirà “la fase di reindustrializzazione per dare un futuro certo ai lavoratori”, ha concluso il ministro: “Ce la metteremo tutta, lavorando collegialmente con le parti sociali e le Regioni”.

Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil evidenziano che “quanto più tempo passerà con le serrande abbassate tanto più sarà difficile trovare soluzioni idonee a ridare prospettiva ai lavoratori, ai clienti, ai fornitori e alle maestranze". Per i sindacati di categoria “bisognerà realizzare ogni possibile interlocuzione con operatori del settore idonei a evitare la vendita a spezzatino di un marchio storico della grande distribuzione organizzata”. In conclusione, le tre sigle assicurano che “ogni possibile soluzione verrà analizzata nella consapevolezza che i locali e la merce in questi contenuta, insieme alla forza lavoro (contrariamente a quanto proposto dalla Shernon Holding nell'udienza del 23 maggio presso il Tribunale di Milano), torneranno in capo all'amministrazione straordinaria e verrà esaminato dettagliatamente il piano industriale che qualsiasi operatore vorrà porre in campo”.

Il fallimento della società non è stato un fulmine a ciel sereno. “Già nei primi mesi dell'ingresso di Shernon – spiegano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil - buona parte dei soci che avevano costituito la società ad hoc per l'acquisizione sono fuoriusciti dall'asset societario”. La situazione si è progressivamente aggravata fino a quando la mancanza di liquidità “ha fatto sì che, negli ultimi mesi del 2018, la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciasse a scarseggiare”. Fino ad arrivare allo scorso marzo, segnalano i sindacati, quando “i punti vendita risultavano sprovvisti di merce e la stessa non veniva più consegnata, sebbene già venduta e pagata dagli acquirenti”.

Sempre in marzo l'azienda aveva annunciato una ricapitalizzazione da 20 milioni, giudicata dai sindacati “assolutamente insufficiente”, per poi ad aprile chiedere il concordato preventivo. Una decisione, proseguono Filcams, Fisascat e Uiltucs, presa “senza darne informazione alcuna, nemmeno al ministero dello Sviluppo economico” (come confermato dal verbale della riunione allo stesso ministero del 19 aprile). Ma la richiesta di concordato è stata respinta dal Tribunale, “avendo riscontrato - spiega il curatore fallimentare Marco Angelo Russo - un indebitamento complessivo, maturato in soli nove mesi di attività, per oltre 90 milioni, oltre a perdite gestionali fisse di 5-6 milioni al mese e alla totale assenza di credito bancario e di fiducia da parte dei fornitori”. La verifica, conclude Russo, ha dato esito negativo “perché i costi da affrontare per esercitare l’attività erano irrimediabilmente e notevolmente superiori ai possibili ricavi, quindi era impossibile proseguirla senza arrecare gravi pregiudizi ai creditori”.

(aggiornamento ore 12.13)