Il calo progressivo dei matrimoni sta mettendo in grandi difficoltà un’eccellenza sartoriale del nostro Paese. Stiamo parlando della Carlo Pignatelli di Torino, storica boutique di abiti da sposa e da cerimonia (fu fondata nel 1968), che il 2 dicembre ha annunciato 14 esuberi su 42 dipendenti complessivi.

La procedura di licenziamento collettivo decisa dalla nuova proprietà, subentrata nel marzo 2024, colpirebbe diverse funzioni societarie (commerciali, amministrative, centralino, stile e acquisti), mentre quanto rimasto delle attività produttive (magazzino e laboratorio) verrebbero esternalizzato.

Filctem Cgil: “Assenza della volontà di rilancio”

“Neanche l’intervento del nuovo azionista di maggioranza è riuscito nell’intento di risollevare le sorti dell’azienda”, spiega la Filctem Cgil torinese: “La nuova proprietà si era presentata come portatrice d’innovazione e volta all’espansione verso nuovi mercati, anche internazionali. L’esito finale però purtroppo dimostra l'inefficacia di detta progettualità e l'assenza di una volontà di rilancio”.

Questa decisione, a detta della società, dovrebbe “servire a far sopravvivere l’impresa”, ma per la Filctem ci sono “seri rischi all’orizzonte: senza una vera e propria strategia di rilancio e un serio piano industriale per il futuro, il destino dell’intera attività sarà compromesso”.

A nulla sono valsi i tentativi “messi in atto dal sindacato negli incontri previsti dalla procedura di ottenere un piano sociale, che nello specifico avrebbe potuto contemplare un ammortizzatore sociale in deroga, non solo come tale nella sua funzione, ma anche come strumento utile per rilanciare e mantenere a Torino l’esistenza di questo noto marchio”.

Per la Filctem “individuare soluzioni alternative rispetto al licenziamento di lavoratori e lavoratrici che da oltre 20 anni, grazie al loro lavoro, hanno reso possibile la creazione di un brand leader in questo settore, non solo è un dovere sociale da parte imprenditoriale, ma è anche il presupposto per invertire la rotta rispetto a una gestione manageriale e finanziaria che non è stata capace di rispondere alle attuali sfide del mercato”.

La categoria Cgil così conclude: “La scelta finale della proprietà getta un’ombra cupa sul futuro di un’azienda simbolo del tanto vantato made in Italy, tanto buono da sbandierare quando conviene dal punto di vista commerciale e dell’immagine, quanto inutile quando si tratta di salvare lavoratrici e lavoratori dal licenziamento”.