Negli anni ottanta era uno dei simboli del Made in Italy. Poi un lento declino, acuitosi nell’ultimo decennio, con il 2007 come ultimo anno positivo. Fino all’inizio di gennaio, quando la società ha ottenuto dal tribunale di Treviso il secondo concordato in bianco allo scopo di trovare un accordo con i creditori per evitare il fallimento. E ora un piano di riorganizzazione che vede esuberi e chiusure dei negozi. Una situazione di grande difficoltà, dunque, che oggi (venerdì 1 febbraio) sarà affrontata in un vertice tra governo, azienda, sindacati e Regione Veneto a Roma, presso la sede del ministero dello Sviluppo economico (appuntamento alle ore 10).

Dal settembre 2017 l’azienda è controllata (con il 71 per cento) dai fondi d’investimento Oxy Capital e Attestor, mentre alla famiglia Stefanel è rimasta una quota del 16,4. Il piano di riorganizzazione, presentato ai sindacati alla metà di gennaio, prevede la cassa integrazione straordinaria per crisi per 244 dipendenti (su 253 complessivi). Nella sede centrale di Ponte di Piave (Treviso) in cassa andranno 52 lavoratori (su 76 dipendenti rimasti): la proposta aziendale è di lavorare tutti a rotazione dal lunedì al giovedì, per sei ore al giorno. Terminato l’ammortizzatore sociale, per la maggior parte dei lavoratori si aprirà la procedura di licenziamento. Sindacati e lavoratori hanno rigettato il piano, affidando alle Rsu un pacchetto di 20 ore di sciopero.

“La proposta avanzata dall'azienda è assolutamente inaccettabile”, spiega la segretaria generale della Filctem Cgil di Treviso Cristina Furlan: “A una parte dei 52 lavoratori in esubero è stato proposto un trasferimento a Milano, ma visto che questo cambio dovrà avvenire a parità di condizioni retributive, è evidente che la rinuncia sarà totale o quasi. Si tratta, di fatto, di licenziamenti”. Nelle intenzioni della Stefanel la sede di Milano diverrà il nuovo head quarter, dove trasferire la gran parte delle funzioni (come vendita al dettaglio e all’ingrosso, marketing, merchandising, ufficio legale, segreteria di presidenza). Riguardo la rete di vendita a marchio Stefanel, che coinvolge circa 170 lavoratori, ancora nessuna decisione formale è stata presa. Ma la proprietà sembra orientata a chiudere sia i negozi in perdita sia quelli troppo grandi, per orientarsi su store più piccoli e sullo sviluppo dell’e-commerce.

“Fino a oggi avevamo sul territorio un'azienda tessile, strettamente collegata alla produzione e al Made in Italy: l'impressione è che con questo piano, e riducendo il numero degli addetti, si trasformi in un’azienda esclusivamente commerciale, una sorta di ufficio import-export”, continua Furlan: “Ponte di Piave perde completamente la sua centralità, la maggior parte delle funzioni saranno trasferite a Milano, il fondo che detiene la maggioranza è inglese, e le produzioni si realizzano in ogni parte del mondo”. In conclusione, la segretaria generale della Filctem Cgil di Treviso evidenzia che “fra i lavoratori c'è rabbia, perché finora non c'è stata chiarezza. E c'è delusione, perché si pensava che, dopo una serie di ristrutturazioni e licenziamenti, il peggio fosse alle spalle”.

Ottenuto il via libera dal tribunale di Treviso per il concordato in bianco, ora la Stefanel ha tempo fino al 15 aprile per presentare il progetto industriale. I conti, intanto, non sono certo buoni: il 2018 si è chiuso con una perdita di 21 milioni di euro, il risultato operativo è negativo per 5,5 milioni, l’indebitamento complessivo ammonta a oltre 150 milioni (quello finanziario netto è di 90,8 milioni, a fronte dei 43,9 milioni). Il patrimonio netto, infine, è scivolato a 7,5 milioni di euro, quando nel 2017, subito dopo l’operazione di ricapitalizzazione, era di 28,5 milioni.