Se c’è un merito del lavoro che ogni anno presenta il Civ dell’Inps, è quello di analizzare dati e numeri prodotti da fonti diverse. Letti tutti insieme restituiscono una fotografia che speravamo fosse consegnata agli archivi storici. E invece no: purtroppo l’Italia con il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa, con il differenziale salariale tra donne e uomini che in alcuni settori arriva a superare il 30%. Quella con pochissimi posti negli asili nido e quella con poche ore di congedo genitoriale utilizzati dai padri, quella in cui le pensionate sono più numerose dei pensionati ma il loro assegno è assai inferiore, ebbene questa Italia – e non è finita qui – è quella di oggi.

Pensioni: Ghiselli (Cgil), dati Ragioneria dello Stato non siano pretesto per interventi restrittivi (Marco Merlini)

La presentazione

Secondo Roberto Ghiselli, presidente del Consiglio di Indirizzo e vigilanza dell’Inps, che ha presentato i dati: “Affrontare il problema delle discriminazioni di genere significa agire su tutte le dimensioni del problema, che riguardano il mercato del lavoro e i modelli organizzativi nel lavoro, la rete dei servizi, la dimensione familiare e quella culturale. Viene pertanto chiamata in causa la responsabilità e l’impegno di tutti gli attori istituzionali, politici e associativi per far sì che i timidi passi avanti che si sono registrati in questi anni, diventino al più presto l’affermazione di una piena condizione di parità, rimuovendo gli ostacolo che ne sono di impedimento”.

Il Rendiconto di genere

Lo dicevamo: pregio del Rendiconto è il numero di fonti assai rilevante che così consente una analisi davvero dettagliata. Istat, ovviamente Inps, e poi, ministero dell’Istruzione e del Merito, AlmaDipltoma, AlmaLaurea, Commissione Europea, Eurostat e ministero dell’Interno. Le donne sono più degni uomini: sono 30.138.708, pari al 51,1% della popolazione. Eppure ce ne sono poche al lavoro. Nel 2023, perché quello è l’anno analizzato dal Rapporto, il tasso di occupazione femminile è stato del 52,5%, a fronte del 70,4% degli uomini, con un tasso di inattività femminile del 42,3%, più alto di quasi 18 punti percentuali rispetto a quello maschile. E come ovvio divario anche nel tasso di disoccupazione: per le donne si attesta all’8,8%, per gli uomini al 6,8.

Ci perde il Paese

Oramai è cosa nota: l’aumento di occupazione femminile porta con sé punti di Pil in più. Non fosse che per questo – ma le ragioni sono tante e diverse – un governo lungimirante dovrebbe lavorare pancia a terra per aumentare in numero di donne occupate. Da noi così non è.
“Le donne italiane sono ancora profondamente vittime di una grave discriminazione di genere, irrobustita, se non aggravata, da alcuni dei provvedimenti assunti dall’attuale governo. Nonostante siano più preparate e più istruite dei colleghi uomini, lavorano meno, guadagnano meno, fanno meno carriera. Non solo un’ingiustizia, ma anche un’evidente perdita di competenze e abilità per il Paese, sulla quale si dovrebbe intervenire in modo strutturale per rilanciare l’economia e lo sviluppo”. Così la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione commenta il Rendiconto di genere.

Precarie e povere

Se si contano le assunzioni registrate nel 2023, si ha dimostrazione plastica di come per le donne il contratto a tempo indeterminato sia più difficile da conquistare. “Nei contratti a tempo indeterminato il delta a favore degli uomini è di 26,1%, mentre nei contratti a termine è del 12,5%; il gap di 13,6 punti percentuali tra le due tipologie contrattuali è determinato da una maggiore presenza di donne occupate in attività discontinue in misura relativamente maggiore rispetto agli uomini”. E come si sa, precarietà fa rima con povertà. Per di più, non solo contratti precarie ma anche part-time, quello involontario coinvolge il 15,6% delle donne, contro il 5,1% degli uomini.

Il commento della segretaria è lapidario

“Le donne non solo non ottengono contratti a tempo indeterminato, ma soprattutto le loro maggiori competenze non vengono riconosciute. Basti pensare che, in aumento rispetto agli anni precedenti, oltre il 40% delle donne tra i 25 e i 34 anni è sovra istruito rispetto alle professioni e agli inquadramenti ottenuti. È evidente che c’è un problema di pregiudizi culturali che vanno scardinati. Nulla che bonus occasionali e non misure sistematiche possa cambiare”.

“Anche per questo – aggiunge Ghiglione – è fondamentale sostenere i referendum sul lavoro promosso dalla Cgil, affinché si possa migliorare questa condizione e garantire maggiore equità e stabilità nel mercato del lavoro, riducendo le discriminazioni nei contratti e nelle carriere delle donne”.

Carriera? Per le donne no

Questa è l’amara realtà. A esser sorpresi sono gli estensori del rapporto che scrivono: “Nei contratti a tempo indeterminato il gender gap per le figure di quadri e dirigenti è eclatante. Solo il 21,1% delle donne ha contratti da dirigente contro il 78,9% dei colleghi uomini. Nei contratti da quadri il genere femminile rappresenta il 32,4% mentre quello maschile il 67,6%. Si evince quindi che il mondo delle cariche dirigenziali e manageriali in Italia sia ancora prettamente maschile”.

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Niente carriera e salari più bassi

Si fa fatica a crederlo, ma il divario salariale tra donne e uomini in Italia, il Paese con una presidente del consiglio e una ministra del lavoro donne, si attesta tra il 30 e il 35%. Si legge nel Rapporto: “In tutti i settori economici esaminati tranne le estrazioni di minerali da cave e miniere gli uomini percepiscono redditi medi giornalieri superiori alle donne. Nello specifico in dieci settori su diciotto esaminati le donne percepiscono più del 20% in meno; nelle attività finanziarie e assicurative le donne percepiscono mediamente il 32,1% in meno, nelle attività professionali scientifiche e tecniche il 35,1% in meno e in quelle immobiliari il 39,9% in meno. Sul valore delle retribuzioni medie giornaliere incidono, oltre all’inquadramento contrattuale, anche altri elementi come i trattamenti individuali, il lavoro straordinario e il part-time. E come è – purtroppo - inevitabile il divario salaria si riflette sulle pensioni, quelle in essere e quelle future, aggravando e di molto il rischio di povertà tra le donne anziani”.

Il dato più amaro

È quello che riguarda le ragazze che non studiano, non lavorano, e non cercano lavoro. “Il genere femminile risulta essere il più colpito in quasi tutte le regioni d’Italia. Nello specifico, le percentuali peggiori si trovano in Sicilia con il 30,4% per le donne e 25,6% per gli uomini, a seguire troviamo Campania con il 28,5% per le donne e 25,4% per gli uomini, e Puglia con il 24,8% per le donne e il 19,8% per gli uomini”.

Dati amari, considerazioni dure

Per Ghiglione: “L’intero Rendiconto inanella una serie di discriminazioni che colpiscono le donne da quando iniziano a lavorare fino alla pensione. Ma da questo esecutivo sentiamo demagogicamente parlare solo di inverno demografico e di incentivi alla natalità, quando tutti i dati confermano l’esistenza di una child penality che contribuisce a discriminare le donne che lavorano. Aumentare il congedo obbligatorio di paternità, ad esempio, sarebbe una misura importante, ma il governo – denuncia – si è limitato a dare attuazione al minimo previsto dalla direttiva europea, portandolo a dieci giorni e dimostrando ancora una volta di non voler davvero fare nulla”.

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