È la seconda pronuncia della Cassazione che afferma questo principio. I rider sono lavoratori autonomi ma il loro contratto formale non impedisce il riconoscimento della disciplina del rapporto dipendente quando sono presenti determinate condizioni: la continuità, la prevalenza personale della prestazione, l’organizzazione da parte del datore.

Una vittoria per i lavoratori, anche se a metà. La sentenza, depositata il 31 ottobre (n. 28772/2025), conferma la decisione assunta dalla Corte d’Appello di Torino e segue il tracciato della Suprema Corte che si era pronunciata sullo stesso tema nel 2020, stabilendo un orientamento per la giurisprudenza.

Diritti e tutele del lavoro subordinato

Che cosa sostengono esattamente i giudici togati? “La sentenza riconosce la natura etero-organizzata dell’attività di consegna a domicilio svolta dal ciclofattorino – spiega Nicola Marongiu, responsabile area Contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil –. Quindi al lavoratore, anche se è qualificato formalmente come autonomo, si devono applicare le discipline del lavoro subordinato, a partire dal compenso definito dai contratti collettivi e dai contributi, fino ad arrivare agli altri istituti a tutela del dipendente. In pratica, viene riconosciuto il portato della norma che abbiamo nel nostro ordinamento, che però ha un carattere molto ambiguo, perché si colloca in mezzo e non ha efficacia se non si arriva al contenzioso giuridico legale”.

Solo con il ricorso al giudice

Il limite di quest’ultima come della precedente sentenza è proprio questo: solo se il lavoratore ricorre al giudice può farsi riconoscere le tutele e i diritti del rapporto dipendente. Può accadere anche con un intervento dell’ispettorato del lavoro, come nel caso della maxi-indagine della procura di Milano nel 2020.

È quella che si dice in gergo una situazione rimediale: c’è bisogno di un intervento, cioè di un rimedio, per fornire una soluzione a un problema. Quindi la sentenza non vale per tutti, è un precedente, fa orientamento, ma decide solo nella situazione specifica sottoposta all’attenzione della Corte.

L’azienda ha perso

“L’aspetto positivo è che l’azienda è soccombente – prosegue Marongiu –. Ha perso in primo grado, in appello e ora anche in Cassazione. Voleva affermare il riconoscimento del lavoro autonomo punto. Invece la sentenza conferma che la natura di quell’attività presuppone un corredo di tutele e diritti che è caratteristico del lavoro subordinato, anche se i lavoratori sono qualificati come autonomi. Questo può diventare un indirizzo per la contrattazione collettiva”.

Si rafforza l’azione sindacale

La sentenza della Cassazione può rafforzare infatti l’azione sindacale. “La maggior parte del contenzioso promosso dalla Cgil attraverso le sue strutture Nidil, Filcams e Filt si è basato sul fatto che devono essere riconosciuti i diritti all’informazione, il comportamento antisindacale delle aziende quando i diritti sono stati negati, la necessità di applicare la procedura del licenziamento collettivo quando Uber Eats ha lasciato l’Italia, gli obblighi in tema di salute e sicurezza – aggiunge Marongiu -. Affermare che si applica la disciplina del lavoro subordinato è un elemento che permette avanzamenti nell’azione di tipo sindacale”.

Bicicletta di proprietà

Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, l’azienda di food delivery aveva sostenuto che l’uso della bicicletta di proprietà dei rider era un elemento distintivo del lavoro autonomo. La Suprema Corte ha respinto questa tesi: la disponibilità del mezzo non incide sulla qualificazione del rapporto, ha detto, che resta formalmente autonomo ma disciplinato come subordinato quando il potere organizzativo appartiene al committente.

Non basta. Poiché è l’algoritmo ad assegnare le consegne, determinando tempi e modi di esecuzione delle prestazioni, questo meccanismo evidenzia come il controllo e il potere direttivo siano esercitati dall’azienda e non dal rider. Altro che lavoro autonomo!