Nuova fumata nera per la direttiva rider alla prova del Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti dei Paesi membri, che non ha trovato un accordo sulle nuove regole che avrebbero dovuto garantire più tutele e diritti ai lavoratori delle piattaforme digitali. A bloccare il via libera sono state le astensioni di Francia, Germania, Estonia e Grecia, che hanno impedito di raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per l’approvazione della normativa rinegoziata dieci giorni fa tra le istituzioni Ue.

Una minoranza di blocco

“L’andamento del voto nel Coreper è stato molto deludente – afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -. Pur in presenza di una direttiva decisamente cambiata rispetto all’impostazione originaria, c’è stata l’opposizione di quattro Paesi, che hanno un peso determinante. Adesso è tutto rimandato, perché non ci sono i tempi tecnici in vista delle elezioni di giugno e perché ad oggi non cambieranno le maggioranze né la contrarietà dei quattro Stati della cosiddetta minoranza di blocco: meno di quella proposta di direttiva non si può avere”.

Testo ridimensionato

Il testo sul tavolo era stato ridimensionato nel corso degli iter negoziali delle ultime settimane. Erano spariti i cinque criteri per presumere il rapporto di subordinazione e far scattare, purché ne sussistessero almeno due, l’obbligo di assumere il lavoratore. Ma era rimasta l’inversione dell’onere della prova.

28 milioni di occupati

Una volta affermata la presunzione di subordinazione a seguito di un’ispezione o su richiesta del lavoratore, non sarebbe stato quest’ultimo a doverlo dimostrare, ma sarebbe spettato alla piattaforma l’onere di provare la natura autonoma e non subordinata del suo collaboratore.

Un meccanismo depotenziato rispetto all’ipotesi originaria, ma comunque una svolta per i 28 milioni di occupati censiti nel 2021 dalla Commissione, destinati a diventare 43 milioni entro il 2025. Inoltre, era stato lasciato a ogni Stato il potere di stabilire quali e quanti criteri introdurre per imporre alle piattaforme le assunzioni.

Non disperdere il lavoro

“Il punto è fare in modo che non venga disperso tutto il lavoro che è stato fatto, sia in ambito europeo che nazionale – aggiunge Marongiu -. È necessario da un lato che si ricomponga questo quadro per la prossima legislatura europea, dall’altro che i 23 Paesi che si sono dichiarati favorevoli agiscano al proprio interno per regolamentare il lavoro su piattaforma. Questa è la sollecitazione che arriva dalla Ces (confederazione europea dei sindacati, ndr) anche all’Italia, dove abbiamo un ampio contenzioso che oltre a contestare e smontare il contratto Ugl, dà ragione ai lavoratori su diversi aspetti. Certo, se fosse stato approvato un quadro di regole più stringenti a livello europeo sarebbe stato meglio, ma il governo dovrebbe fare qualcosa. Passi in avanti ne abbiamo fatti, ma bisogna proseguire”.

La proposta iniziale di direttiva era stata presentata dalla Commissione a dicembre 2021. La parte più importante riguardava l’inquadramento contrattuale dei lavoratori delle piattaforme, l’obiettivo principale era garantire più diritti a rider e fattorini, che nella stragrande maggioranza dei casi sono inquadrati come autonomi sebbene siano soggetti al controllo e alla direzione degli algoritmi. Adesso tutto è rimandato a data da destinarsi.