Siamo nella Basilicata degli anni Cinquanta, una terra segnata dalla povertà, dalla disoccupazione, dall’emigrazione. Tra le tante iniziative di lotta per il lavoro, il 13 gennaio, a Venosa, circa 300 braccianti si muovono per ripulire dal fango via Roma: vi sono finanziamenti per asfaltare la strada ma sono fermi da mesi. L’intervento della polizia provoca scontri con i manifestanti, durante i quali perderà la vita Rocco Girasole, un ragazzo di 20 anni.

Le testimonianze 

Anna dopo, Rocco Rascano, uno dei testimoni, racconterà:

Nel gennaio del 1956 a Venosa nevicò abbondantemente, il paese restò isolato dal resto della Basilicata. Allo sciogliersi della neve molte strade non lastricate erano dei veri e propri acquitrini impraticabili. Il mattino del 13 gennaio molta gente si recò in corteo in via Roma per lavorare e rendere la strada praticabile. Poco dopo arrivò dal capoluogo e da altre città vicine un grosso contingente di polizia che, senza dare spiegazioni, cominciò a togliere gli attrezzi da lavoro dalle mani dei braccianti. Alle rimostranze verbali di questi i celerini cominciarono a manganellare senza capire ragione, ed ecco la scintilla che fece esplodere la rivolta. Cominciano i lanci dei lacrimogeni, le cariche delle camionette, i caroselli delle auto a sirena innestata, sparando all’impazzata proprio con l’intento di falciare dei padri di famiglia che non chiedevano altro che lavoro. Quand’ecco la tragedia, uno dei braccianti venne ucciso da una raffica di mitra. I feriti furono 14, fra cui 10 bambini. Oltre 100 i contusi, più o meno gravi, che non ricorsero alle cure mediche ed ospedaliere per non essere arrestati. Azione che puntualmente avvenne, subito dopo la sparatoria. Infatti furono arrestati in 34, fra questi alcuni non avevano preso parte allo sciopero, erano solo colpevoli di essere comunisti. Cumulativamente gli arrestati scontarono circa 31 anni di carcere preventivo. Tutti furono scarcerati nelle fasi processuali. La notte fra il 13 e 14 gennaio, dopo aver circondato tutto il rione, i poliziotti portarono via la salma di Rocco Girasole, negando alla madre disperata anche quel piccolo conforto di vegliare il figlio nelle ultime ore prima della tumulazione. Le autorità di polizia tentarono di negare il permesso per i funerali adducendo la scusa di eventuali disordini che potevano avvenire durante la cerimonia funebre.

“Si risponde di nuovo col piombo al Mezzogiorno che chiede lavoro - scrive quel giorno l’Unità - La polizia spara sui disoccupati. Un giovane ucciso e altre sei persone ferite. La carica contro i 300 disoccupati che stavano attuando uno sciopero a rovescio. Un tenente dei carabinieri aveva sconsigliato al commissario di Ps l’intervento. Tra i feriti un vecchio e un tredicenne, in gravi condizioni”.

“Volevamo solo lavorare - continuano a ripetere i testimoni di quella terribile giornata - Forse per il ministro Tambroni non avevamo quel diritto, non eravamo persone, non eravamo esseri umani”. 

La reazione del sindacato e della Sinistra 

 “La Camera confederale del lavoro - recita il manifesto funebre - partecipa al lutto dei lavoratori di Venosa per la morte del giovane ventenne Rocco Girasole, martire del lavoro”.

Cinque giorni più tardi, il 18 gennaio, i deputati Pajetta, Amendola, Alicata, Bianco, Grezzi e Scappini presentano alla Camera dei deputati un’interrogazione parlamentare “per sapere quali misure siano state prese contro il commissario di pubblica sicurezza e gli altri responsabili dell’episodio di criminosa violenza in cui ha trovato la morte il giovane bracciante ventenne Rocco Girasole di Venosa e sono stati gravemente feriti numerosi altri lavoratori, fra i quali due ragazzi di 15 anni e una ragazza diciottenne; e per sapere altresì quali provvedimenti di urgenza si intendono prendere per affrontare la drammatica situazione di miseria e di disoccupazione in cui versano larghissimi strati delle popolazioni meridionali e sulle quali da settimane richiama l’attenzione del Parlamento e del Governo l’esasperata protesta dei disoccupati di ogni regione del Mezzogiorno”.

Alicata tuona dal suo banco: 

È ora, signori del governo, di comprendere che ancora una volta ciò che il Mezzogiorno vi grida: giustizia, lavoro e pane! Rispondendo a questo grido con i gas lacrimogeni, con le bastonate, con le raffiche intimidatrici e omicide, voi vi mettete veramente su una cattiva strada. Si tratta, invece, di esaminare a fondo la situazione, di fare un bilancio, di dare un giudizio su ciò che nel Mezzogiorno non è stato realizzato; si tratta di rendersi conto del fatto che ci si è mossi in limiti troppo ristretti e in una direzione sbagliata per quanto riguarda la questione della terra, e che non si sono create ancora delle nuove fonti stabili e permanenti di occupazione. Già qualche preannuncio di questa grave situazione si era avuto l’inverno scorso, e quest’anno esso si è ripetuto in forme aggravate. Vi sono nel Mezzogiorno migliaia e migliaia di braccianti e di operai edili disoccupati. Vi sono migliaia e migliaia di assegnatari degli enti di riforma carichi di debiti e di fame. (…) Sono questi, signori del governo, i problemi che bisogna affrontare e risolvere.

Sono questi - signori del governo - i problemi che bisogna affrontare e risolvere. Anche oggi, verrebbe tristemente da dire.