Il programma Gol (Garanzia occupabilità dei lavoratori) a sei mesi dalla sua nascita vede il 29,7% delle persone prese in carico dai Centri per l’occupazione ricollocato nel mondo del lavoro. Si tratta di 240 mila persone su 809 mila. È un primo bilancio fatto dall’Anpa (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro), che rende noto come sia stato centrato il primo obiettivo fissato dalla Ue, ma evidenzia anche alcune criticità, come le differenze territoriali, il solito divario tra Nord e Sud della Penisola, perché si va dal 45,1% di rioccupati a Bolzano, al 19,8% della Calabria. Non solamente, il problema consiste ora nel secondo obiettivo, quello che riguarda la formazione, come ci spiega Rossella Marinucci, dell’Area contratti e mercato del lavoro della Cgil, e che si occupa in particolare di Politiche attive del lavoro.

“L’obiettivo raggiunto è quello della presa in carico – afferma -, che però, in molti territori, è consistita in una telefonata dei centri per l’impiego o nel numero di coloro che hanno fatto la domanda di Naspi con un passaggio dai centri stessi. Per tutte queste persone c’è stata l’iscrizione sul Gol e quindi la presa in carico, entrando nel raggiungimento del primo target, ma senza alcuna attivazione delle reali politiche attive con i centri per l’impiego”. 

Si tratta quindi di un obiettivo quantitativo, mentre “le politiche attive sono strumenti profondamente qualitativi – sottolinea Marinucci - ed è proprio qui che emergono i limiti che i numeri di Anpal ci confermano. I rioccupati sono il 30%, ma il 50% arriva da Naspi o Discol, quindi parliamo di persone uscite di recente dal mercato del lavoro per una mobilità purtroppo fisiologica e che spesso si rioccupano in autonomia. La vera sfida, invece, è fare entrare nel mercato del lavoro chi ne è fuori, chi ha competenze considerate obsolete e ha bisogno formazione più qualificata, chi da tanto tempo è inoccupato, chi ha un’età medio-alta, magari uscito da percorsi di dismissione (ne abbiamo seguiti tanti) e accompagnato da ammortizzatori sociali, quindi da politiche passive, senza che si sia mai fatto niente per reinserirlo”.

Per Marinucci qui sta il punto dolente: donne e giovani senza titolo di istruzione “si trovano al palo”, la presa in carico non è sufficiente “se non sono oggetto di politiche di inclusione, che hanno ben altri connotati. Parlo di formazione – prosegue -, di formazione qualificata e di presa in carico multidimensionale per le persone più fragili. Non si possono trattare tutte le persone allo stesso modo, prescindendo da fragilità culturali, di provenienza, familiari, territoriali”. 

In molti casi queste persone erano percettori del Reddito di cittadinanza e ne sono stati privati, totalmente o parzialmente, con le nuove norme del governo Meloni. “Dichiarare le persone occupabili non le rende occupate e continuiamo a ripeterlo dal varo delle ultime misure sull’Rdc – precisa -. Tutti i soggetti più complessi da attivare e da includere, coloro che sono senza strumenti, si ritrovano ancora più in difficoltà e senza un’indennità che vada a loro sostegno, con il rischio di un’ulteriore esclusione. Non si possono considerare solamente le condizioni anagrafiche come parametro per l’occupabilità”.

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Si apre però una nuova fase del programma Gol, che nel primo anno si è concentrato sulla presa in carico e a dicembre 2023 dovrebbe attivare le politiche per tutta una serie di soggetti: “Ci sono target precisi, che vuole dire fare formazione più o meno breve a seconda della obsolescenza delle competenze delle persone, ma qui sta l’altro nodo: la formazione occorre farla patendo da una vicinanza ai bisogni del territorio e alle competenze necessarie, altrimenti è fine a se stessa. I primi numeri non ci incoraggiano, aspettiamo dicembre. In alcuni casi abbiamo assistito all’utilizzo dei tirocini, spesso usati come sostituzione del personale e non per percorsi di avvicinamento al lavoro.

Le politiche attive che noi riteniamo tali sono quelle che consentono a uomini e donne di avere gli adeguati strumenti che, non per loro colpa, non hanno avuto. La scommessa è arrivare a capire il portato delle persone e loro condizioni, perché non esistono misure di massa che vanno bene per tutti. Esiste invece la presa in carico individuale, facendo la fotografia di ciascun soggetto, per mettere in campo misure tarate in base alla situazione del territorio”. 

Sempre Marinucci specifica che questo non vuole dire creare sistemi di politiche attive diverse per ogni Regione, anche perché al loro interno vi sono differenze, tra costa e interno, tra centri urbani e piccoli centri, senza contare le diverse possibilità di mobilità.  Il rischio è invece “la creazione di modelli asettici, magari mutuati da altri Paesi. Tutto ciò che è pensato non per le persone, ma per il sistema - quindi autoreferenziale - non funziona”. 

Il fattore positivo individuato dalla funzionaria della Cgil consiste nell’avere ora a disposizione un grande strumento, perché il Gol ci ha fornito dati con un livello di dettaglio mai avuto prima e che può fare sì che i decisori politici prevedano misure in relazione a ciò che in ogni territorio avviene. “Ci possiamo quindi dare degli obiettivi – conclude -: a tutti i giovani che non hanno raggiunto un titolo di studio glielo diamo, magari con l’apprendistato o il sistema duale, così per donne e migranti possiamo capire quali soggetti siano lontani dal mercato del lavoro e mettere in campo misure precise e mirate”.