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Adesioni complessivamente sopra al 90% allo sciopero dei lavoratori Sirti.. In molti stabilimenti gli addetti sono al terzo giorno di sciopero, per protestare contro gli 833 esuberi dichiarati sul territorio nazionale. "Chiediamo all’azienda di non aprire la procedura di licenziamento annunciata. È necessaria la convocazione di un tavolo di crisi presso il governo, che coinvolga sindacati e istituzioni, per aprire - a partire dalla vertenza Sirti - un confronto sul settore delle telecomunicazioni", questo il commento della segretaria generale della Fiom, Francesca Re David.
"Il governo non può ignorare il ruolo strategico che il settore delle telecomunicazioni ricopre per il Paese e le drammatiche ricadute dal punto di vista occupazionale che il caso Sirti comporta.
Se l'azienda insisterà nel voler aprire le procedure di licenziamento valuteremo quali nuove iniziative di mobilitazione intraprendere”, aggiunge la sindacalista.
Non si ferma la protesta dei dipendenti della Sirti. Il 14 febbraio scorso il gigante italiano delle infrastrutture per telecomunicazioni e information technology ha dichiarato 833 esuberi, tra operai e impiegati. Una cifra enorme, pari al 23 per cento del personale (gli addetti complessivi sono 3.692). I licenziamenti toccheranno tutti i reparti, anche se maggiormente colpita sarebbe la business unit Telco (reti di accesso, manutenzioni, radiomobili, reti civili e fibra). A tremare sono i lavoratori di tutte e 30 le sedi della società (controllata dall’agosto 2016 dal fondo d’investimento statunitense Pillarstone): secondo indiscrezioni, sarebbero almeno 250 in Lombardia, oltre 130 nel Centro Italia e in Sardegna, un centinaio nel Triveneto, Emilia Romagna e Marche, e un altro centinaio tra Calabria e Sicilia.
La protesta dei sindacati è stata immediata: stato di agitazione del gruppo (con la sospensione di prestazioni straordinarie, flessibilità, reperibilità e tempi di viaggio), assemblee in tutti i luoghi di lavoro e un pacchetto di quattro ore di sciopero articolato su tre giorni (dal 18 febbraio al 20 febbraio) a livello territoriale. La giornata clou della mobilitazione è oggi (mercoledì 20 febbraio): si fermano per quattro ore i dipendenti di Belluno, Cagliari (dove si tiene un doppio presidio), Ferolato Antico (Catanzaro), Genova, Milano, Carini (Palermo), Treviso e Udine, mentre lo stop sarà di due ore a Bologna e Modugno (Bari).
Lunedì 18 hanno scioperato per quattro ore gli addetti delle sedi di Napoli e Salerno, e per due ore quelli di Carini (Palermo), Ancona e Lecce. Martedì 19 hanno incrociato le braccia per quattro ore i lavoratori di Alessandria, Calenzano (Firenze), Roma (alla cui assemblea hanno partecipato i coordinatori nazionali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil), Trento e Verona, per due ore quelli operanti nelle sedi di Ancona, Bologna, Catania e Modugno (Bari). Il prossimo incontro con la società, infine, è in calendario per giovedì 28.
Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil nazionali respingono decisamente “un piano di ristrutturazione e riorganizzazione che scarica drammaticamente sui lavoratori le conseguenze di un mercato delle telecomunicazioni senza governo, con scelte aziendali miopi e sbagliate”. I sindacati, riferendosi all’incontro con l’azienda del 14 febbraio scorso, spiegano che Sirti “ha ricondotto tale decisione alle condizioni di mercato, che hanno generato pesanti perdite finanziarie nell’ultimo biennio, scarsa marginalità e ulteriore frammentazione dei soggetti imprenditoriali concorrenti”.
I sindacati chiedono al governo non solo “un intervento concreto per il mantenimento dell’occupazione nel gruppo, ma anche un confronto permanente sulle condizioni di lavoro e sulle prospettive del settore, dilaniato da gare assegnate al massimo ribasso e oggetto di una progressiva rivoluzione tecnologica”. Per Fiom, Fim e Uilm “la guerra di posizione tra i maggiori azionisti, interna a Tim, non può essere scaricata sui lavoratori delle installazioni telefoniche. Pur essendo, da anni, in mano ad aziende private, il settore telefonico ha urgente bisogno di un governo pubblico”. In questa chiave, richiamano anche la “paradossale” situazione della Open Fiber, “di fatto una società a partecipazione pubblica, le cui regole d’ingaggio, in termini di gare e di tempistica nei pagamenti, stanno mettendo in crisi gli operatori del settore più strutturati, ovvero quelli con maggiore occupazione e più rispettosi delle tutele previste dalla contrattazione collettiva e della tutela della salute e sicurezza”.
Alla Sirti i sindacati chiedono “la sospensione dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo e, al contempo, l’apertura di un confronto con il governo, al fine di effettuare un’analisi approfondita per ricercare le opportune soluzioni che potranno anche prevedere l’utilizzo di ammortizzatori sociali non espulsivi, favorendo il ricambio occupazionale, tramite riconversione professionale e accompagnamento alla pensione”. Sempre all’azienda, infine, chiedono “di congelare il piano unilaterale d'incentivi e di aprire un confronto sull’organizzazione del lavoro, nell’ottica di un’intesa sindacale”.
Uno dei centri nevralgici della protesta è Milano, dove oggi si tiene lo sciopero di quattro ore, con presidio a Mazzo di Rho (in via Giuseppe Di Vittorio 16). “Anche noi vogliamo trasformare l’azienda, ma senza licenziare 833 lavoratori”, ha spiegato Roberta Turi, segretaria generale della Fiom Cgil milanese, nel corso dell'assemblea che si è tenuta martedì 19 all'interno dello stabilimento: “Riteniamo inaccettabile che la Sirti abbia deciso di lasciare a casa proprio quei lavoratori che dovrebbero portare a termine il piano banda ultralarga e intraprendere le attività previste per il 5G. Tra i lavoratori in esubero, infatti, ci sono anche coloro che posano la fibra e i lavoratori del radiomobile”. Per l'esponente sindacale “il motivo vero dei licenziamenti annunciati è che i gruppi dirigenti aziendali vorrebbero guadagnare di più, utilizzando in maniera selvaggia appalti e subappalti. E in futuro non sono esclusi altri tagli”.
La segretaria Fiom ha evidenziato anche che “l’azienda sta tentando di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, i sommersi e i salvati. Noi proviamo invece a unirli per proporre un piano di trasformazione che dovrebbe prevedere la riqualificazione di tanti e l’accompagnamento in pensione di altri senza penalizzazioni economiche”. Così conclude Roberta Turi: “L’azienda smentisce che in Lombardia ci sarebbero circa 250 lavoratori in esubero. In Assolombarda ha fornito numeri elevatissimi per l’area Nord-Ovest: 138 lavoratori dell’area telco, 22 dello staff telco, 28 del digitale, 44 dello staff. Se non sono 250, ci siamo vicini. Non ci interessa il balletto dei numeri, la Sirti smentisca che vuole aprire una procedura di licenziamento collettivo per 833 persone, se ne ha il coraggio. Noi comunque ci opporremo in tutti i modi a questo piano”.
Diverse sono le prese di posizione delle organizzazioni territoriali. “Siamo molto preoccupati per questa situazione, anche perché la Sirti ha subìto continue riorganizzazioni, l’ultima solo nel novembre scorso”, commenta la Fiom Cgil di Bologna, evidenziando che la crisi del gruppo si lega “anche al blocco delle infrastrutture a livello nazionale, visto che Sirti lavora anche per la Tav, oltre che per la Tim. Quella delle telecomunicazioni è dunque un’attività strategica”. La Rsu Fiom dello stabilimento di Mareno di Piave (Treviso) pone l’accento sul fatto che “non vi è carenza di lavoro, anzi i recenti violenti eventi atmosferici hanno consegnato nel Triveneto una mole di lavoro per diversi anni, prima di tornare alla normalità. Infatti l'espansione di lavoro di installazione, manutenzione e interventi sulle reti sono subappaltate a ditte in supporto ai lavoratori Sirti. E qui sta il nodo. La Tim pare voler far pagare lo scontro in corso tra italiani e francesi per il controllo della società alle imprese primarie che lavorano sulla rete. La Sirti ha denunciato come causa della crisi il taglio dei prezzi, da parte della Tim e degli altri competitor”. Forte preoccupazione esprimono anche le Fiom Cgil del Trentino e del Triveneto: "La situazione è grave, non appena verrà aperto formalmente il procedimento di licenziamento collettivo avvieremo subito una trattativa per ridurre gli esuberi in ogni modo possibile. I problemi di Sirti hanno radici in un settore che è in affanno a causa delle regole sbagliate con cui vengono gestiti appalti e subappalti. Si lavora con sconti non sostenibili, che portano poi a situazioni come quella attuale".
“Un provvedimento non solo sbagliato ma anche controproducente, in quanto contrasta con l’esigenza di dare impulso allo sviluppo della ultra banda larga del Paese”. A dirlo sono la Slc Cgil e Rsu Tlc delle Marche, esprimendo la propria solidarietà ai lavoratori coinvolti. Secondo alcune stime, sono a rischio circa 93 dipendenti del bacino pluriregionale e 40 nelle Marche. “Richiamiamo tutte le parti che hanno responsabilità, a partire da Sirti, governo e committenti, come Tim, affinché siano ritirati i licenziamenti e affrontate le problematiche insieme ai sindacati”, spiegano Slc e Rsu marchigiane: “Tale questione rende ancora più necessario rompere il meccanismo delle gare al massimo ribasso, che continua, come in questo caso, a produrre effetti dirompenti sull’occupazione e sulla qualità del servizio. Non si fa competizione sulla pelle dei lavoratori”. Forte preoccupazione esprimono anche Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil della Calabria, denunciando “gli impatti devastanti causati dalle politiche scellerate di Tim nel mondo degli appalti telefonici” e affiancando la protesta “delle federazioni metalmeccaniche di Cgil, Cisl e Uil a difesa dell’occupazione e nel rivendicare con fermezza il tavolo nazionale al ministero dello Sviluppo economico per il settore delle telecomunicazioni”.
"Un piano di lacrime e sangue, che annuncia il licenziamento di 883 lavoratori a livello nazionale, di cui 212 nell’area Sud1, molti dei quali nei siti pugliesi". Questo il commento della Slc Cgil Puglia, esprimendo “massima solidarietà” ai lavoratori e disapprovando il “comportamento aziendale che scarica drammaticamente sui lavoratori le conseguenze di un mercato delle telecomunicazioni senza governo”. La Slc pugliese evidenzia che “mentre la politica continua a interrogarsi sulla cablatura nazionale, che con la fibra ottica e il 5G dovrebbe dare maggiore impulso al lavoro, le telco in generale stanno subendo uno stop sostanziale di attività. Da Tim, passando per le imprese appaltatrici e arrivando agli outsourcer, è sempre più visibile un calo di attività che contrasta con l’esigenza di maggiore tecnologia e attenzione verso il cliente”. Il sindacato, infine, denuncia anche “le gare al massimo ribasso che creano cattivo lavoro, bassissima qualità e dumping a danno dei lavoratori (competizione che annulla le competenze, mina la sicurezza sul lavoro, crea malessere), fino a strozzare le aziende stesse”.
(aggiornamento ore 15.51)