L'Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse. Alla fine del 2022, erano crollati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. Una discesa continuata nel primo trimestre di quest’anno, con una diminuzione su base annua del 7,5%.

L’Outlook 2023 dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (che riunisce 38 Paesi con Pil pro-capite medio-alto) non porta buone notizie. L'aggressione russa contro l'Ucraina ha contribuito a un'impennata dell'inflazione, che non è stata accompagnata da una corrispondente crescita dei salari nominali. Di conseguenza, i salari reali sono diminuiti praticamente ovunque.

Italia, maglia nera

Ma qui emerge il record negativo del nostro Paese. In media, nel primo trimestre 2023 i salari reali sono diminuiti del 3,8% rispetto all'anno precedente (i dati disponibili sono su 34 Paesi Ocse). Ma noi abbiamo fatto peggio degli altri: il 7.5%, praticamente il doppio.

A soffrire, ovviamente, sono le famiglie a basso reddito. “Nonostante il relativo aiuto arrivato grazie agli interventi pubblici, la perdita di potere d'acquisto è particolarmente problematica per i lavoratori del ceto basso”, si legge nel rapporto: “Questi ultimi hanno meno libertà di azione per far fronte all'aumento dei prezzi attingendo ai propri risparmi o prendendo a prestito, e si trovano spesso di fronte a un'inflazione effettiva più elevata man mano che viene destinata una parte maggiore della loro spesa in energia e alimentazione”.

Anche le previsioni non sono buone. Da un lato, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell'occupazione totale inferiore all'1% sia nel 2023 sia nel 2024 (a maggio il tasso di disoccupazione in Italia era al 7,6%, la media Ocse è 4,8%). Dall’altro, i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, ma l’inflazione si attesterà al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024.

Le soluzioni dell’Ocse

Alla conclusione della sua analisi, l’Ocse offre anche soluzioni per mitigare la perdita di potere d'acquisto dei lavoratori e garantire una più equa distribuzione dei costi dell'inflazione tra imprese e lavoratori. “Il mezzo più diretto per aiutare questi ultimi – si legge nel report – è quello di aumentare i loro salari, compreso il salario minimo legale, che è fissato dallo Stato”.

Sull’Italia pesa “l’assenza di un salario minimo” (presente in 30 Paesi Ocse su 38), ha precisato il direttore per l'Impiego e il lavoro Stefano Scarpetta. L'economista ha rimarcato “l'importanza di avere in momenti come questo un salario minimo, accompagnato da una commissione tripartita per valutarne il livello”. Secondo l’esponente Ocse il nostro Paese dovrebbe fare come la Germania, che nel 2015 ha introdotto il salario minimo pur avendo (come l'Italia) una “forte contrattazione collettiva”.

La seconda soluzione, appunto, è la contrattazione collettiva. Ma c’è un “però”: in Italia i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. L’Ocse, infatti, sottolinea che “i significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (oltre il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni) rischiano di prolungare la perdita di potere d'acquisto per molti lavoratori”.

Nello stesso tempo In generale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ritiene che ci sia “spazio per i profitti per assorbire aumenti salariali, almeno per i lavoratori a bassa retribuzione” e che i governi “dovrebbero riorientare i sostegni in maniera più mirata sulle famiglie a basso reddito”.