Ventisette lavoratori in somministrazione, che per anni hanno garantito lo stesso servizio dei dipendenti diretti, da giugno non hanno più un contratto con Amap, l’azienda che gestisce il servizio idrico integrato nell’area metropolitana di Palermo.

Sono stati lasciati a casa senza preavviso, senza spiegazioni, senza prospettive. “Padri di famiglia che non sanno se potranno più garantire serenità ai propri cari”, denunciano Francesco Brugnone (Nidil Cgil Palermo) e Calogero Guzzetta (Filctem Cgil Palermo). Quattro mesi senza lavoro, quattro mesi di silenzi aziendali. “Ancora una volta i somministrati vengono trattati come lavoratori di serie B”, accusano i sindacati, promettendo mobilitazioni e azioni legali.

Un secolo di acqua pubblica

La storia di Amap comincia nei primi anni del Novecento, quando la gestione idrica di Palermo diventa un servizio municipale. Dopo decenni di evoluzioni amministrative, nel 1999 l’azienda si trasforma in ente speciale e l’anno dopo in società per azioni a capitale interamente pubblico. Un passaggio che segna la modernizzazione dell’azienda e che la prepara a gestire un bacino sempre più vasto.

Nel 2015 Amap acquisisce il servizio idrico integrato in oltre 50 comuni della provincia: da quel momento diventa un colosso regionale, con oltre mille dipendenti e la responsabilità di servire circa un milione di cittadini. Un peso enorme, ma anche una vulnerabilità: ogni crisi aziendale si ripercuote direttamente sulla vita quotidiana dei lavoratori e della popolazione.

Investimenti e ombre giudiziarie

Il 2017 porta ad Amap una boccata d’ossigeno: un prestito di 19 milioni dalla Banca europea degli investimenti per rinnovare reti e depuratori. L’operazione viene salutata come una svolta. Ma presto arrivano le contestazioni: la Procura europea indaga sulla mancata realizzazione di opere e sulla cattiva gestione dei fondi.

Nel 2023 scatta il sequestro dei conti, con milioni di euro congelati. Diversi dirigenti e amministratori vengono rinviati a giudizio. Da allora Amap vive in una condizione di paralisi finanziaria, con fornitori in attesa e la paura costante di non riuscire a garantire gli stipendi.

La siccità che prosciuga fiducia e invasi

Mentre le aule giudiziarie tengono l’azienda sotto pressione, la crisi climatica aggrava lo scenario. In pochi anni i bacini siciliani sono passati da oltre 160 milioni di metri cubi d’acqua disponibile a meno di 40. Una riduzione drammatica che costringe Amap a introdurre turnazioni nelle erogazioni idriche, sospese solo nei giorni festivi per non esasperare cittadini e turisti.

Basta un guasto alla rete perché interi quartieri restino a secco per giorni. L’acqua diventa un bene incerto, un privilegio a fasce orarie. La fiducia nell’azienda, già logorata da scandali e inefficienze, si sgretola sotto il peso dell’emergenza idrica.

Lo stallo politico e la governance mancata

A complicare il quadro c’è la paralisi politica. L’amministratore unico è scaduto e da mesi il Comune non trova un accordo sulle nuove nomine. La governance è vacante, con il collegio sindacale costretto a gestire l’ordinario senza poteri veri. Una società con mille dipendenti e un servizio essenziale per un milione di persone è lasciata senza guida. In estate è arrivato un prestito ponte da 135 milioni con le banche, ma resta un palliativo. Le decisioni strategiche, come il rilancio degli investimenti e il piano industriale, sono rinviate. I sindacati parlano di “scelte mancate e cittadini abbandonati”.

L’impatto sociale della crisi

Dietro le cifre e le procedure ci sono persone. Migliaia di lavoratori temono per il proprio futuro e 27 famiglie già non hanno più un reddito. In un contesto di inflazione e precarietà diffusa, perdere il lavoro significa perdere anche la dignità e la serenità domestica.

“Non ci fermeremo qui – avvertono Nidil e Filctem – useremo tutti gli strumenti di lotta affinché questi lavoratori non rimangano con un pugno di mosche in mano”. Una vertenza che non riguarda solo i 27 somministrati, ma l’intero modello di gestione pubblica dei servizi. Se l’acqua è un bene comune, chiedono i sindacati, come si può accettare che a gestirla sia un’azienda senza stabilità e senza un piano?