Mi chiamo Francesca, ho 50 anni e sono ricercatrice sanitaria presso un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pubblico. Gli Irccs afferiscono al ministero della Salute e devono svolgere ricerca biomedica allo scopo di offrire innovazione delle diagnosi e terapie per malattie gravi, invalidanti, spesso ancora orfane di cura, a disposizione della collettività.

Un approccio di lavoro che ci invidiano in tutto il mondo: from bench to bedside, ovvero si parte da un quesito diagnostico al letto del paziente, si va al laboratorio, si cerca di capire quale possa essere il meccanismo o la causa di una patologia, per tornare con una diagnosi o una proposta terapeutica innovativa.

Un lavoro prezioso di innovazione e tutela della salute pubblica, quindi, svolto da lavoratori altamente qualificati, ma precari per il 100% delle unità, e contrattualmente maltrattati da decenni, in barba alle leggi nazionali e sovranazionali. Decenni fatti per il 99% del tempo da contratti atipici (cococo, borse di studio e p.iva) e solo da 3 anni da un contratto a tempo determinato che prende il nome di Piramide della Ricerca.

Io sono precaria da tutta la mia vita lavorativa, e lo sono in compagnia di circa altri 1200-1300 lavoratori come me, biologi, chimici, fisici, statistici, data manager, bibliotecari, infermieri di ricerca.

Quest’anno ho celebrato le nozze d’argento col mio compagno di lavoro precario. 22 anni di atipicità contrattuale e 3 anni di tempo determinato. Venticinque anni eccitanti per me. Colmi di tutele mancate, tfr non versati, congedi parentali non riconosciuti, attacchi d’ansia in attesa dei molteplici rinnovi contrattuali, fondi previdenziali privati per garantirsi due lire alla pensione, e che si scontrano col paradosso di quanto indispensabile sia il nostro lavoro per la comunità. Anni in cui mi sono trovata a girare letteralmente lo stipendio ad asili nido privati e babysitter al solo scopo di mantenere il posto di lavoro.

Cosa fare quindi, e cosa aspettarsi dal futuro? Mi aspetto che quei meravigliosi principi costituzionali alla base del Sistema sanitario universalistico, democrazia, equità e dignità, ritornino all’interno dei posti di lavoro in sostituzione della retorica dell’eccellenza, merito e selezione che ci hanno rifilato per decenni al solo scopo di giustificare tagli al ribasso. Il mio augurio e invito, anche ai miei colleghi, per questo Primo maggio è di tornare a fare massa critica all’interno dei posti di lavoro. Sono ben conscia che recuperare la consapevolezza dei propri diritti, non avendoli mai vissuti, non sia facile, ma ci vuole un po' di coraggio e unione, dopo che siamo stati frammentati in mille rivoli contrattuali al solo scopo di confondere e indebolire i lavoratori. Al sindacato, al mio sindacato, la Fp Cgil, chiedo di continuare a sostenerci, come stanno dimostrando di fare da anni, perché venga messo finalmente un punto a questa condizione lavorativa indegna di un paese civile.

Buon Primo Maggio di resistenza attiva!