Che il nucleare in Italia avesse lasciato una pesante eredità era chiaro da tempo. Ma che questa eredità rischiasse di finire tutta sulle spalle dei lavoratori non era finora così evidente. Nonostante i milioni di euro spesi in questi decenni dallo Stato per smantellare centrali e impianti e gestire i rifiuti radioattivi, dopo il no espresso dai cittadini con il referendum del 1987, a oggi nessuna delle partite aperte ha ancora trovato soluzione.

La società pubblica Sogin, creata ad hoc 24 anni fa, in tutto questo tempo è stata gestita in maniera poco efficiente. Otto mesi fa è stata commissariata nel tentativo di mettere le cose a posto. “Ma a distanza di otto mesi nulla è cambiato rispetto al passato, anzi”, denuncia Alessandro Borioni, coordinatore nazionale Filctem Cgil, la categoria sindacale che con i lavoratori e le Rsu ha manifestato a Roma sotto la sede del ministero dell’Economia e delle finanze, azionista della società, per chiedere chiarezza sul futuro.

“L’azienda è ferma – prosegue Borioni -, non ci sono attività rilevanti in nessun sito, persiste una grave carenza di personale, tanto da rendere critica la stessa gestione ordinaria e la messa in sicurezza degli impianti. Inoltre, l’annullamento dei principali appalti finalizzati allo smantellamento del materiale radioattivo e alla realizzazione del deposito nazionale sta creando molti problemi”.

La malagestione della Sogin viene da lontano. In tempi più recenti è stata attribuita al gruppo dirigente rimasto al vertice fino allo scorso anno, quando l’allora governo Draghi decise appunto di mandarlo a casa a causa dell’allungamento dei tempi e dell’aumento dei costi del decommissioning nucleare. L’attuale commissario è il prefetto Fiamma Spena, affiancata dai vice Giuseppe Maresca e Angela Bracco.

“Nel 2021 e nel 2022 dopo accertamenti e sopralluoghi nei siti e nella sede centrale, sono scattate due indagini sui ritardi nelle attività – dice ancora il sindacalista -. Quando è arrivato l’organo commissariale, speravamo in una discontinuità che invece non c’è stata: non ha saputo rilanciare l’azienda e tanto meno presentare un piano industriale adeguato. Crediamo che si sia giunti a una situazione insanabile, siamo preoccupati per il futuro occupazionale e per la dignità di centinaia di lavoratori di Sogin e del suo indotto. È a rischio la tenuta industriale dell’azienda e, questione non secondaria, il mantenimento in sicurezza degli impianti”.

La Sogin sta smantellando quattro centrali nucleari, cinque impianti legati al ciclo del combustibile e un reattore di ricerca. La manutenzione corretta dei siti e dei rifiuti è indispensabile per salvaguardare l'ambiente e garantire la salute dei cittadini. Ma con poco personale a disposizione soprattutto nei territori, dato che invece vengono rimpinguati i posti ai vertici, con il debito da 10 milioni di euro maturato nei confronti di Arera, e con una riduzione del budget, attività così importanti e pericolose vengono messe in discussione.

Per fare fronte al caro bollette e abbassare le tariffe, il governo ha tolto la componente A2, i cosiddetti oneri nucleari, che servivano a coprire i costi della società. “Quindi oggi il budget proviene dalla fiscalità generale – spiega Borioni -. 400 milioni di euro, che a nostro giudizio non sono sufficienti per gestire il decomissioning e soprattutto per costruzione il deposito nazionale. Se domani c’è la spending review, si riduce anche il finanziamento della Sogin, con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Noi vogliamo che l’azienda funzioni, questi lavoratori hanno professionalità sul nucleare che non ha nessuno”.