Esaminati, selezionati, formati, e infine assunti in somministrazione. Con contratti a termine, rinnovati il giorno prima della scadenza, a ripetizione: sei mesi, un mese, di nuovo uno, poi due, poi nove. Un periodo complessivo che va dai 18 ai 21 mesi per smaltire le 220 mila richieste di regolarizzazione dei lavoratori immigrati presentate agli uffici delle questure, delle prefetture e delle commissioni territoriali di tutta Italia.

Sportelli chiusi

Un piccolo esercito di 1.200 persone ingaggiato dallo Stato per parlare con gli stranieri, esaminare le pratiche, analizzare i documenti, applicare la legge. E dal 31 dicembre scorso lasciato a casa. Vite rimaste sospese, come quelle degli utenti la cui domanda di emersione non verrà esaminata, almeno per ora: in molte città il servizio non è garantito perché gli sportelli sono chiusi per mancanza di personale.

Vite appese a un filo di speranza, che è rappresentata dalla vertenza portata avanti unitariamente dai sindacati di categoria, Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp, che da mesi si battono perché a questi lavoratori somministrati, precari di Stato, siano riconosciute la continuità occupazionale, la professionalità e l’esperienza maturata.  

Il tavolo al ministero 

Mentre le iniziative rivendicative non si sono mai fermate, nei giorni scorsi si è aperto un tavolo di confronto al ministero dell’Interno con i rappresentanti delle categorie funzione pubblica e atipici (Fp Cgil, Cisl Fp, Uilpa, Nidil, Felsa e Uiltemp), alla ricerca di soluzioni. Si parte dall’assunto che i soldi per riattivare i contratti e il servizio ci sono, perché sono stati stanziati in legge di Bilancio.

Il punto vero è come non disperdere il bagaglio di conoscenze e competenze e garantire la continuità occupazionale: scartata l’ipotesi della clausola sociale, si valuta l’inserimento in un unico bando di una formulazione che individui un criterio preferenziale per attingere al personale precedentemente impiegato. Un sistema per evitare il turn over selvaggio, pratica cara alle multinazionali ma che lo Stato non dovrebbe adottare.

I tempi

“Il vero problema, difficile da superare, sono i tempi – spiega Davide Franceschin, segretario nazionale Nidil Cgil -: si va verso una gara unica, e questo è positivo, ma se va tutto bene il personale ricomincerà a lavorare a giugno. Nel frattempo i somministrati avranno accesso alla disoccupazione, ma gli utenti, gli immigrati, dovranno aspettare ancora. I ritardi sono evidenti”.

Vertenza a due facce

Altri sei mesi di limbo, in cui gli irregolari che hanno fatto richiesta dovranno continuare e vagare, nella speranza che prima o poi la loro domanda di emersione venga esaminata. “Questa vertenza ha due facce – racconta Erika Iannuzzo, ex lavoratrice prefettura di Roma -: ci siamo noi interinali e ci sono gli immigrati, che in attesa dell’elaborazione dell’istanza non hanno accesso a diritti fondamentali, come l’iscrizione al sistema sanitario o alla possibilità di uscire dal Paese”. A loro lo Stato nega di fatto il diritto di costruirsi una vita lontano da casa, burocraticamente e personalmente.