Di cosa parliamo quando parliamo di salute mentale? Prima di tutto ci sono i numeri: interviene in aiuto il rapporto sulla Salute mentale 2020, ovvero l'analisi dei dati del Sistema informativo per la salute mentale (Sism), a cura del ministero della Sanità. L'ultima indagine risale a due anni fa, ma i dati sono ancora attuali e dunque validi. 

Gli utenti

Proprio nel 2020, gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici in Italia ammontano a 728.338 unità, con tassi che vanno da 90,3 per 10.000 abitanti adulti in Sardegna fino a 195,4 nella regione Umbria (valore totale Italia 143,4). La maggioranza è composta da donne: gli utenti sono di sesso femminile nel 53,6% dei casi. La composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti sopra i 45 anni (69%).

In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti sotto i 25 anni, mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 45-54 anni e 55-64 anni (46,8% in entrambi i sessi). Le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe over 75 anni (6,7% nei maschi e 10,7% nelle femmine). Nel 2020 i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno con i Dipartimenti di salute mentale ammontano a 253.164 unità. Il 91,8% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita.

Le malattie 

C'è poi il tema delle patologie. I tassi relativi ai disturbi schizofrenici, ai disturbi di personalità, ai disturbi da abuso di sostanze e al ritardo mentale sono maggiori nel sesso maschile rispetto a quello femminile. L'opposto avviene per i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi. In particolare per la depressione il tasso degli utenti di sesso femminile è quasi doppio rispetto a quello del sesso maschile: 24,2 per 10.000 abitanti nei maschi e 40,4 per 10.000 abitanti nelle femmine.

I servizi

Tutto questo, naturalmente, viene sorretto e garantito da una folta schiera di lavoratori. Le prestazioni erogate nel 2020 dai servizi territoriali ammontano a 8.299.120 con una media di 12,3 prestazioni per utente. Complessivamente il 79,6% degli interventi è effettuato in sede, l’8,9% a domicilio e il resto in una sede esterna. Gli operatori prevalenti sono rappresentati da medici (34,7%) e infermieri (42,7%). Il 33% degli interventi è rappresentato da attività infermieristica a domicilio e nel territorio, il 22,8% da attività psichiatrica, l’11,4% da riabilitazione.

Servono più risorse

A fare il punto sul settore è Andrea Filippi, segretario nazionale della Fp Gilè Medici, dialogando con Collettiva. Come spesso accade, il nodo fondamentale è quello delle risorse. "Il nostro ruolo come sindacato - comincia Filippi - è mettere al centro, valorizzare e tutelare un punto fondamentale, la relazione tra professionisti e cittadini. Questo vale per tutta la sanità, ma per la salute mentale in particolare. Finora abbiamo pagato una denigrazione del ruolo dei professionisti, che troppo spesso vengono usati come capri espiatori delle cattive pratiche. Negli ultimi anni si è diffusa una posizione che parla della rigidità degli operatori, senza mai volgere lo sguardo al nodo delle risorse: le carenze di fondi strutturali non mettono i professionisti in grado di operare". Prendersela con i lavoratori invece che con le carenze, per dirla con una metafora, "è come guardare il software e non vedere l'hardware".

Le carenze di personale sono drammatiche. "Così gravi che non si riesce a fornire l'assistenza minima ai pazienti e cittadini - prosegue -. La legge obiettivo aveva previsto il 5% del fondo nazionale per la sanità fosse dedicato alla salute mentale, mentre oggi le regioni si attestano intorno al 3% e alcune come il Veneto sono al di sotto del 2,3%. Occorre realizzare ciò che dice la legge. Il Dipartimento della Salute mentale sul territorio è il modello migliore che abbiamo: mettiamolo in condizioni di operare".

Territorio e prevenzione

La Funzione pubblica si batte per la presa in carico territoriale della salute mentale che, come detto, è la strada migliore. "Il Dipartimento è un modello: il suo cardine è la contaminazione tra l'azione dei professionisti e la presa in carico del lavoro di equipe, questo però attualmente è stato smantellato. L'urgenza è rivedere le risorse, assolutamente inadeguate. Sono proprio le risorse che possono consentire un salto di qualità anche culturale". In assenza di queste, avverte Filippi, "si soffia sul fuoco del conflitto tra operatori e cittadini, cioè si fa una guerra tra poveri".

Nel particolare, poi, adesso il 90% dei fondi viene speso per l'assistenza alla cronicità. Tutto il resto risulta trascurato. "Ora è necessario trovare risorse aggiuntive per intervenire sui giovani, fare promozione e prevenzione della salute, a partire dalle scuole. Vanno potenziate quelle funzioni oggi rase al suolo, come la dimensione psicologica e psicoterapeutica. Dare per scontato che possa farlo solo il privato è una sconfitta. Non bisogna solo occuparsi della cronicità, ma anche prevenirla, perché la patologia cronica è il vero manicomio. Il paziente perde la sua libertà quando viene condannato alla malattia tutta la vita. Sarebbe invece lungimirante - conclude - costruire servizi per l’individuazione precoce della diagnosi, che conviene sia per la persona che per la sostenibilità economica del sistema".