Una serie di brutte indicazioni sullo stato degli occupati in Italia emerge dai dati Istat pubblicati oggi. È ancora presto per dire se si tratta di una tendenza precisa ma appaiono delinearsi le aspettative negative legate allo scoppio della guerra, allo scarso sviluppo e alla ripresa dei casi pandemici. Sicuramente ci vuole misura nel commentare questi dati, come dicemmo a fronte di trionfalistiche dichiarazioni relative a quelli dello scorso marzo.

Innanzitutto l’occupazione torna sotto la soglia dei 23 milioni con un calo nel mese attuale rispetto ad aprile di -49 mila occupati. Il calo fra i dipendenti permanenti è particolarmente preoccupante (-96 mila unità rispetto ad aprile), solo in parte compensato da una crescita degli indipendenti e con l’aumento di altre +14 mila unità fra i dipendenti a termine, con l’ennesimo record negativo (non certo per chi li attiva) arrivato a tre milioni e 176 mila occupati precari.

I dati non consentono ancora una più dettagliata analisi, ad esempio quanto della crescita degli indipendenti può essere assimilata alla precarietà e il numero dei part-time, nel primo trimestre sempre molto alto anche fra i tempi determinati. Ma questi dati vanno assunti con la dovuta preoccupazione e non minimizzati. Il trend dei contratti a termine nell’ultimo trimestre (marzo-maggio 2022) è sempre altissimo sia come flussi (vicino al 70% dei nuovi occupati dipendenti), nonostante nei primi mesi dell’anno il ritorno in vigore del cosiddetto decreto dignità avesse portato a un aumento delle trasformazioni per chi aveva già superato la durata annuale senza causali; meccanismo che pare già in esaurimento e le imprese infatti tornano ad assumere precari e a far calare i dipendenti permanenti.

Si ripropongono inoltre problemi antichi del mercato del lavoro italiano come il travaso dalla disoccupazione all’inattività e, nonostante il calo demografico influisca sulle percentuali, lo stesso tasso di occupazione torna a calare. La popolazione in età da lavoro continua a invecchiare; se nell’ultimo anno gli occupati 15-49 anni sono cresciuti di +214 mila unità, gli over 50 di +248 mila unità. Per inciso, nel 2022, stanno crescendo i licenziamenti sia di natura economica che disciplinare.

Un quadro negativo, peraltro in una fase di piena applicazione del Pnrr che, pur prevedendo interventi straordinari, non provoca effetti altrettanto straordinari sul lavoro. Abbiamo più volte affermato, commentando i dati Istat, che andavano riviste e collegate le attività del Pnrr alla buona occupazione così come andavano urgentemente introdotte nuove norme per ridurre la precarietà. Purtroppo i dati attuali confermano a queste richieste e gli interventi che restano necessari, adesso sono indispensabili e urgenti.

Fulvio Fammoni è presidente della Fondazione Di Vittorio