All’epoca - scriveva lo scorso anno Fernando Liuzzi ricordando la nascita della Fiom - la parola metalmeccanici ancora non esisteva. Si sarebbe formata più tardi, dalla fusione di “metallurgici” con “meccanici”. Intendendo con i primi i forgiatori di metalli e con i secondi i lavoratori addetti alla fabbricazione di macchinari metallici. Mentre con “operai” si intendeva parlare, in senso lato, dei lavoratori manuali che “operavano”, cioè erano attivi, nelle grandi officine come nei piccoli laboratori artigiani. Non per caso, il congresso di Livorno si tenne presso la sede della Fratellanza artigiana. E non per caso, il nuovo sindacato si proponeva di organizzare i lavoratori appartenenti a “tutte le arti metallurgiche”, compresi gli artigiani che non avessero dipendenti”.

A tenere la relazione morale e finanziaria del «Comitato centrale di Propaganda» è chiamato l’operaio Aristide Becucci, mentre il primo segretario eletto è Ernesto Verzi, 29 anni, nato a Firenze, ma residente a Roma dove svolge l’attività di incisore di metalli (dimissionario sarà sostituito nove anni dopo da Bruno Buozzi).

Recita il primo articolo dello Statuto: “Con deliberato del I Congresso nazionale tenutosi a Livorno il 16 giugno 1901 è dichiarata costituita la Federazione italiana fra gli operai metallurgici (Fiom) o facenti parte delle Sezioni annesse alla Federazione”.

Nel primo Congresso dopo la guerra la Fiom conta 47.192 iscritti e 102 sezioni.

Meno di un anno dopo, il 20 febbraio 1919, la Federazione firma con la Confederazione degli industriali un accordo per la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali (l’accordo prevede tra l’altro il riconoscimento delle Commissioni interne e la loro istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una Commissione per il miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la riforma delle paghe e del carovita).

Nel 1906 la Fiom, assieme ad altre federazioni di categoria e alle prime Camere del lavoro, sarà una delle organizzazioni che parteciperanno alla fondazione della CGdL, la prima Confederazione generale del lavoro, poi scioltasi dopo l’avvento del fascismo.

Sei mesi dopo la proclamazione della Repubblica, nel dicembre 1946, tiene il suo IX Congresso e la Federazione italiana operai metallurgici diventa Federazione impiegati operai metallurgici raggiungendo 638.697 iscritti (il simbolo assume la sua configurazione attuale: l’incudine sparisce, alla ruota dentata – industria meccanica -, al martello – metallurgia – e al compasso – lavoro tecnico o di progettazione -, si aggiungono la penna – lavoro impiegatizio – e la sigla Fiom).

Le conclusioni del Congresso saranno affidate a Giuseppe Di Vittorio che all’inizio del suo intervento presenterà a nome della Cgil la candidatura a segretario generale di Giovanni Roveda, all’epoca sindaco di Torino, ratificata dal nuovo Comitato centrale.

A Roveda seguiranno nell’ordine Agostino Novella, Luciano Lama, Piero Boni, Bruno Trentin, Pio Galli, Sergio Garavini, Angelo Airoldi, Fausto Vigevani,  Claudio Sabattini, Gianni Rinaldini, Maurizio Landini, Francesca Re David, prima donna alla guida delle tute blu in più di cento anni di storia, e Michele De Palma.

“Il tratto caratteristico della nostra storia - diceva in occasione del 115° anniversario l’allora segretario generale della categoria, oggi della Confederazione Maurizio Landini - è che, fin dalla nascita, abbiamo scelto di non essere un sindacato di mestiere né corporativo. Abbiamo scelto di rappresentare le persone: la nostra non è solo tutela del lavoro e non pensiamo il lavoro solo come mezzo di sopravvivenza, ma come strumento fondamentale per trasformare i luoghi di lavoro e la società”.

“Io ho sempre pensato - affermava del resto Claudio Sabattini nel maggio del 2002 lasciando la direzione della Federazione - che per fare un lavoro come quello che facciamo sia necessario un grande spirito di servizio, oltre al fatto di non considerare se stessi altruisti per questo, e credo che ci sia bisogno di questo spirito di servizio per poter vivere.  (…) Ho conosciuto le fabbriche meccaniche, quelle di meccanica fine di Bologna, così come quelle di siderurgia a Brescia, e devo dire che non avevo mai visto operai lavorare in quelle condizioni terribili, perché nel periodo in cui io sono stato a Brescia lavoravano in condizioni davvero impensabili. Così come sono stato a Torino per tanti anni e devo dire che da questa esperienza è emerso un secondo punto, secondo me, decisivo: se non ci si identifica seriamente con la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici, se non li si ama, non si può fare il sindacalista, non è possibile”.

“Grazie a voi per le vostre lotte per i diritti di tutti - salutava Gino Strada in occasione del XXIII Congresso nazionale in un discorso di un’attualità disarmante tutto da leggere (LEGGI) - grazie alla Fiom di esistere e di resistere, grazie perché per me voi rappresentate uno dei pezzi più importanti di quel che è rimasto di democrazia in questo paese e, nello stesso tempo, rappresentate anche una delle speranze più importanti, cioè che in futuro si possa finalmente tornare a dare un senso alla parola 'democrazia', che appare sempre più vuota”.

E allora, buon compleanno Fiom. 1000, 10.0000, 100.000 di questi giorni.