All’ora di pranzo decine di pullman arrivano negli squallidi piazzali davanti allo stabilimento per lasciare centinaia di persone, prenderne a bordo altrettante e riportarle a casa, lontana a volte anche due ore di viaggio. A San Nicola di Melfi, in provincia di Potenza, fuori dai cancelli di quello che è stato il principale sito produttivo della Fiat prima, Fca poi, e adesso Stellantis, la scena si ripete tre volte al giorno. In questa fabbrica è stato scritto un pezzo di storia dell’automotive in Italia, su questi marciapiedi in mezzo al nulla, riarsi dal sole o dal freddo, si sono consumate nei decenni le lotte degli operai contro i tagli e il peggioramento delle condizioni di lavoro, per l’innovazione e l’equità occupazionale e salariale. In molti hanno gli sguardi spenti, ma sul volto non ci sono soltanto i segni della stanchezza per il turno di otto ore.

“I lavoratori sono preoccupati e sfiduciati – dichiara Danilo Di Chio, delegato Fiom Cgil Stellantis -. Dell’orizzonte del 2024, ovvero dei quattro nuovi modelli annunciati dall’amministratore delegato Tavares, non c’è traccia. Nello stabilimento dovrebbe esserci un fermento positivo, dovremmo vedere l’allestimento di impianti che preannunci l’ingresso delle nuove tecnologie e l’arrivo della rivoluzione dei motori elettrici, ma quello a cui assistiamo è soltanto un tentativo grossolano di raccogliere centesimi, cambiando l’organizzazione del lavoro. Un efficientamento che viene pagato a duro prezzo dai lavoratori”.

Gli impegni presi dal gruppo Stellantis hanno risuonato nell’aria come un’eco per settimane: l'Italia è centrale per l'esecuzione del piano Dare Forward 2030, tutte le fabbriche nel nostro Paese continueranno a operare e verranno riconvertite e adeguate all'elettrificazione. E la scommessa principale sarà sulla Basilicata, che produrrà entro il 2024 quattro nuove vetture cento per cento elettriche multibrand per il mercato europeo, con 400 mila auto l’anno, e su Termoli, terzo sito europeo a ospitare la gigafactory, che successivamente potrebbe fornire le batterie anche al sito lucano. È Melfi comunque lo stabilimento che dovrebbe, nei piani aziendali, vivere un cambio epocale.

Qui oggi si fabbricano in versioni ibrida e benzina Fiat 500X, Jeep Renegade e Compass. Qui domani ci sarà il primo plant di Stellantis che ospiterà la nuova piattaforma elettrica e produrrà vetture capaci di un’autonomia fino a 700 chilometri. Trasformare quindi, e non chiudere. Innovare, e non tagliare. Un pezzo importante di transizione vissuta direttamente sulla pelle degli operai. “Quello che abbiamo visto finora è il continuo ricorso alle uscite volontarie, che ci fa tremare i polsi – prosegue Di Chio -. E quindi una volontà di ristrutturare lo stabilimento e non di rilanciarlo, di fare uno spezzatino, di svuotare le linee di produzione. E sapete chi esce, chi se ne va? I giovani, quelli che erano entrati nel 2015 con il jobs act, quelli più lontani dall’età pensionistica. Come sindacato avevamo firmato un accordo con il gruppo per dare ai lavoratori più usurati la libertà di andarsene e invece rimangono i vecchi e se ne vanno i ragazzi: in un’azienda così il futuro sembra sempre più fosco”.

L’accordo è quello di giugno 2021, che a fronte della possibilità per l’azienda di ricorrere alla cassa integrazione, prevedeva la garanzia occupazionale dei dipendenti diretti e dell’indotto di tutta l’area e la fuoriuscita incentivata e volontaria di 300 operai. I 300 sono diventati 380, a cui ad aprile se ne sono aggiunti altri 500 non previsti dall’accordo. A conti fatti la riduzione complessiva entro l’anno dovrebbe quindi essere di 880 unità.

Un quadro certamente poco rassicurante per lo stabilimento. Ma poi c’è l’indotto, 4-5 mila lavoratori impiegati nelle aziende della componentistica, sempre a San Nicola di Melfi. Qui la transizione dell’auto dai modelli a motore endotermico a quelli elettrici si sentirà ancora di più. Perché, come ci spiegano gli esperti, per fabbricarla ci vogliono meno componenti, meno lavorazioni e meno forza lavoro. Insomma, è diversa e va modificata tutta l’architettura della vettura e con lei anche i processi per produrla.

“Quello che serve è un piano di riconversione dell’indotto, per salvaguardare i posti di lavoro e fronteggiare l’eventuale concorrenza di altri siti produttivi dello stesso gruppo – afferma Giorgia Calamita, segretaria regionale Fiom Cgil Basilicata –. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza il settore dell’automotive è centrale, ma chi se ne sta occupando? La transizione ecologica di cui tanto si parla non è governata ma viene lasciata fare alle imprese. E invece andrebbe gestita a livello centrale e regionale. Senza contare che veniamo da diverse crisi, pandemica, dei microchip e della componentistica, della guerra con una riduzione della produzione e di conseguenza dell’orario di lavoro e dei salari. E da un ritardo frutto di scelte aziendali. Ma come si pensa di fare questa conversione? La formazione dov’è? E dove l’innovazione tecnologica?”.  

L’orizzonte del 2024 sembra lontano e invece è dietro l’angolo. Di quell’orizzonte non si vedono i passaggi necessari per raggiungerlo. Gli ammortizzatori sociali, per esempio, che nelle aziende dell’indotto finiranno a settembre 2022, e le commesse che non sono state ancora sottoscritte. “Questa trasformazione del prodotto non si capisce se ci sarà oppure no, anche noi non sappiamo che cosa produciamo giorno per giorno - dice Antonio Labriola, delegato Fiom Cgil di Proma, società dell’area industriale di Melfi che produce ossature per sedili -. E poi l’elettrico non sta decollando. Stiamo attraversando una crisi di mercato perché è aumentato tutto, il prezzo dell’energia, della trasformazione, della logistica. E alla fine si scarica tutto sull’ultima ruota del carro, noi operai”.

Da qui al 2024 c’è un abisso, fatto di precarietà e paura, di riduzione dei costi e ricatti occupazionali. E nonostante le rassicurazioni del neo assessore regionale allo Sviluppo economico Alessandro Galella, che si dice pronto “ad analizzare e affrontare i problemi che si affacceranno nel mondo di lavoro e a cogliere le opportunità per la formazione e per i nuovi insediamenti industriali”, i sindacati continuano a essere preoccupati.

“L’automotive sta subendo una trasformazione profonda che ormai è irreversibile, perché ci sono gli interessi economici delle multinazionali – spiega Gaetano Ricotta, segretario regionale Fiom Cgil Basilicata -. Uno dei tasselli è il passaggio all’elettrico. Ci era stato promesso da Stellantis che il saldo occupazionale per la realizzazione del piano al 2024 sarebbe stato zero per l’area industriale di Melfi, ma al momento quei numeri non sono stati rispettati, le prime avvisaglie le stiamo avendo già adesso. Sappiamo che la transizione è un processo lungo, che potrà convertire alcuni posti di lavoro nel tempo, dove esattamente non è dato saperlo. Il saldo alla fine potrebbe essere anche tendente allo zero. Ma il problema è il qui e adesso”. E nel qui e ora si gioca la vera partita della transizione ecologica, perché a pagarla non siano i lavoratori.