Il giro d’Europa del salario minimo comincia a vedere un traguardo. Dopo scontri di ogni genere sia a livello politico (soprattutto nel Parlamento europeo), sia a livello delle organizzazioni sociali (si è rischiata una rottura all’interno della Ces, la Confederazione dei sindacati europei), il testo della Direttiva sul salario minimo legale targata Ue sta per essere varato definitivamente per poter dare modo ai Paesi membri di recepirlo a livello nazionale. Nella relazione introduttiva la Commissione ribadisce che uno dei problemi a cui la Direttiva intende dare risposta è la "diminuzione strutturale della contrattazione collettiva". E la Direttiva intende quindi svolgere una funzione promozionale: nei paesi dove non esiste il salario minimo legale sostenendo la contrattazione tra le parti sociali: nei paesi dove esiste una legge che fissa standard minimi salariali, indicando criteri per garantire l'adeguatezza. L’Italia non sarà obbligata a questo passaggio perché una delle clausole della direttiva stessa riguarda la presenza o meno di una legislazione nazionale. E l’Italia, insieme a Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro, non possiede ancora una normativa sulla regolazione del salario minimo legale. Nei confronti di questi paesi la vincolatività della nuova Direttiva è alquanto evanescente. L'Europa intende però istituire un sistema di monitoraggio da parte della Commissione sull'andamento delle dinamiche salariali nei diversi Stati, basato sulla periodica trasmissione di dati anche disaggregati (per genere, età, settore, dimensione delle aziende) da parte degli Stati. Un obbligo quest'ultimo che di per sé imporrebbe all'Italia di dotarsi di un sistema di contrattazione più trasparente e regolato di quello vigente.

Il ministro Orlando ci prova
Tra i 27 Paesi europei sono appunto l'Austria, Cipro (in parte), la Danimarca, la Finlandia, l'Italia e la Svezia a non aver varato norme nazionali sul salario minimo. In Italia ci sta provando il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che ha già avuto modo d'incontrare i sindacati confederali. L’obiettivo principale riguarda la necessità di tentare di smorzare l’esplosione delle diseguaglianze e mettere un freno ai contratti precari e pirata che spingono il nostro Paese verso i gradini più bassi delle graduatorie europee. Il ministro sta anche cercando di sfruttare il possibile effetto trascinamento degli esempi francesi e spagnoli.

Di recente la Spagna (come si può leggere nella scheda sulla situazione dei salari in Europa) ha approvato una riforma del mercato del lavoro dopo nove mesi di dibattito, che ha prodotto risultati importanti non tanto sul fronte dei livelli monetari dei salari, quanto su quello delle regole. Il cuore della riforma spagnola stabilisce infatti un limite alla flessibilità: vengono introdotti due tipi di contratti di formazione e un solo modello a tempo determinato con delle causali molto circoscritte. C'è inoltre una stretta sulle sanzioni per chi non si adegua (10 mila euro per ogni dipendente interessato) e ogni volta che viene attivato un contratto inferiore ai trenta giorni l'azienda dovrà pagare una penale. Il provvedimento interviene anche sugli accordi collettivi.

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Occasione o trappola?
Per l’Italia quella della Direttiva europea che generalizza le normative sulla determinazione del salario minimo legale potrebbe essere un’occasione per impostare una discussione del problema su basi nuove, visto che finora i tentativi parlamentari sono tutti naufragati. Al Senato è infatti ancora bloccato un disegno di legge presentato dall'ex ministra Nunzia Catalfo (M5s) che fissa una retribuzione non inferiore al contratto collettivo nazionale del settore di appartenenza, o comunque non sotto i nove euro l'ora.

“Il nodo – ci spiega Salvatore Marra dell’Ufficio internazionale della Cgil – riguarda proprio il riferimento alla contrattazione. Nel corso del lungo dibattito sul salario minimo ci si è resi conto che sarebbe stato un errore partire dalla definizione di un valore orario (nove euro). Si deve partire invece dai risultati della contrattazione e da quelli definire il riferimento per il salario minimo. Nel dibattito sulla Direttiva si sono fatti passi avanti in questo senso perché si valorizza la contrattazione collettiva che diventa la vera fonte regolatrice”.

E oltre al riconoscimento e alla valorizzazione della contrattazione, l’approvazione di una Direttiva europea in questa materia, potrebbe avere effetti indiretti positivi. “Si tratta di un processo – dice ancora Marra – che favorisce la lotta al dumping salariale e alla diffusione dei contratti pirata attraverso il rafforzamento degli schemi della contrattazione. Un altro elemento positivo della Direttiva riguarda l’impostazione di fondo: il legislatore non interviene per decreto ma sulla base di una consultazione effettiva con le parti sociali”.

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