Il profitto sopra e oltre il valore della persona. Secondo Francesca Re David, da poco eletta segretaria nazionale della confederazione di Corso Italia, è questa la causa fondamentale dell’aumento degli incidenti sul lavoro. Che non sono frutto di fatalità ma di una svalorizzazione del lavoro. È importante, secondo la dirigente sindacale, che lo Stato faccia la sua parte vincolando risorse e incentivi alle aziende alla prevenzione degli infortuni. Proprio per questa ragione è positivo il commento sulla decisione di mantenere in vita il Protocollo Covid in tutte le sue parte, assunta ieri, 4 maggio, in una riunione di verifica tra governo e parti sociali, presenti il ministero della Salute, quello dello Sviluppo economico, e il dicastero del Lavoro.

Qual è la tua valutazione del Protocollo, cosa ha significato in questi due anni?
La valutazione è molto, molto positiva. Ricordo sempre che quando l'8 marzo del 2020 il presidente Conte in televisione spiegò che bisognava stare tutti a casa, non disse una parola su come occorresse comportarsi nei luoghi di lavoro. Immediatamente, allora ero in Fiom, dicemmo unitariamente che non si poteva lavorare se non c'erano le condizioni di sicurezza. Così cominciò il percorso che portò ai comitati aziendali e poi ai Protocolli Covid tra Cgil Cisl e Uil, Confindustria e tutte le altre parti datoriali. Voglio sottolineare, è certo cosa nota ma è importante ricordarlo, che quel “Patto” fu poi assunto dal Dpcm e assunse dignità di legge. Penso che sia stato, il nostro, l’unico Paese a darsi uno strumento di questa natura per proteggere lavoratori e lavoratrici dai rischi della pandemia, non lasciando alle singole aziende la responsabilità di provvedere. Proprio per questo, credo che i protocolli – quello nazionale e gli altri che sono seguiti - abbiano consentito non solo di mettere al riparo i lavoratori, ma anche di cogliere la ripresa economica prima che in altri Paesi. I protocolli sono stati davvero efficaci.

Oggi siamo in una fase diversa. La grande diffusione dei vaccini  consente un allentamento delle misure di protezione, dall’abolizione del green pass alla riduzione dell’uso delle mascherine in alcune circostanze. Le prescrizioni previste dai protocolli servono ancora?
L'attenzione del governo ai luoghi di lavoro non sempre è stata coerente, a volte investendo eccessivamente le parti sociali. Per quanto ci riguarda il nostro punto di riferimento è sempre stata la comunità scientifica e, quindi, il Cts. Il Protocollo ha certamente segnato una svolta ed è per questa ragione che siamo rimasti un po’ sorpresi dall’ultimo provvedimento emanato dal ministro Speranza, che per ciò che riguarda i luoghi di lavoro non si esprime. Bene, quindi, l’incontro di ieri promosso dai tre ministeri competenti, Lavoro Salute e Sviluppo Sociale, con tutte le parti sociali. In quella sede abbiamo convenuto che il Protocollo rimane in vigore in tutte le sue parti: mascherine, distanziamento, necessità di sanificazione e – ovviamente – comitati aziendali. Sia la capo di gabinetto del ministero della Salute che l’Inail hanno ribadito, infatti, che i rischi Covid sono ancora presenti. Siamo d’accordo e per questo ritengo fondamentale che il Protocollo e i comitati continuino a svolgere il loro ruolo essenziale a fronte di una pandemia che non è purtroppo ancora finita.

All’incontro era presente anche l’Inail, un dato importante. Questa presenza sancisce il fatto che il Covid riguarda la salute nei luoghi di lavoro. Infatti, nel 2020 i morti sul lavoro erano in molta parte da Covid. Per fortuna oggi non è più così, ma sia gli incidenti che i morti sul lavoro continuano ad aumentare.
La prima cosa da dire è che, dopo il blocco delle attività a seguito dei lockdown, con la ripresa delle produzioni sono ripresi anche gli incidenti e i morti sul lavoro in modo molto rilevante. Nell'industria, nell'edilizia, nell'agricoltura. Questo è un segnale molto chiaro, con l’aumento delle produzioni le regole che garantiscono la sicurezza sul lavoro si abbassano. Voglio fare due esempi che trovo emblematici: a ridosso del 1° maggio si sono verificati due gravi incidenti a Roma. Il primo, un operaio edile è caduto da una impalcatura in una strada del centro. Al di là di quanto verificherà la magistratura, trovo inaccettabile che a 62 anni si salga ancora su una impalcatura. Peraltro con le norme sul Bonus 110 per cento il settore dell’edilizia è particolarmente sotto pressione, ma questo si sta traducendo in un grande abbassamento di tutte le norme sulla sicurezza e non solo, basti pensare che si innalzano ponteggi e impalcature con materiali vecchi di anni perché non ce ne sono a sufficienza per rispondere alle richieste. E poi, sempre nella capitale, un operaio in appalto di una piccola ditta con pochi dipendenti è precipitano nella tromba di un ascensore del ministero degli Esteri. Era solo! Peraltro mi risulta che la Consip, l'ente che gestisce gli appalti di tutta la pubblica amministrazione, nei suoi capitolati non preveda la clausola sociale. Insomma, come è evidente, non stiamo parlando di fatalità ma di conseguenze di scelte che si compiono e che quindi potrebbero e dovrebbero essere evitate. L’idea di fondo è quella che occorre risparmiare sul lavoro. E quindi appalti al massimo ribasso, subappalti, lavori usuranti che si è costretti a continuare a svolgere. E con le risorse del Pnrr, il rischio è che la situazione peggiori perché occorre fare in fretta per rispettare i tempi, pena la perdita dei finanziamenti. Ripeto, non sono fatalità che portano alle morti sul lavoro, è colpita sempre la stessa tipologia di lavoratori: in appalto, in subappalto, troppo anziani o troppo giovani.

Parli di giovani, mi viene in mente: precari...
Certamente la precarietà è un’altra grande concausa. Tutte le rilevazioni sul mercato del lavoro, da ultime quelle dell’Istat di due giorni fa, ci dicono che l’aumento di occupazione registrato è quasi tutto precario. Oltre a condannare le persone a vivere in un eterno presente, a non sapere quello che gli succede, con salari bassissimi determinati, e più ricattabili, inevitabilmente le si espone a una maggiore l'insicurezza sul lavoro. Insomma, assistiamo alla mancanza di senso del valore della vita della persona. Se è il profitto che determina anche il valore delle persone, allora si può morire, a causa delle guerre o sul lavoro, senza che questo crei davvero scandalo. Occorre cambiare e tornare a ciò che detta la Costituzione: la persona al centro.

Che fare allora?
Innanzitutto, ribaltare il paradigma del profitto ad agni costo anche a scapito della sicurezza. Il che vuol dire, ad esempio, rivedere le norme sui lavori usuranti e sull’età di pensionamento. E poi occorre agire su appalti e subappalti. Poi, investire sulla sicurezza. È mai possibile che le automobili siano dotate di sistema di allarme per cui se ci si avvicina a un muretto suonano, e sistemi simili non siano presenti nelle aziende con macchinari pericolosi? E non dimentico le lavoratrici e i lavoratori morti perché i sistemi di sicurezza dei macchinari erano stati disattivati per aumentare le produzioni. Io penso che lo Stato debba giocare un ruolo. Bene l’aumento di organico per l’Ispettorato nazionale del lavoro, le ispezioni sono importantissime, ma occorrerebbe vincolare appalti pubblici e incentivi anche agli investimenti su salute e sicurezza. Tanto più per ciò che riguarda i fondi del Pnrr. Insomma, anche le imprese devono assumersi una parte di responsabilità sociale, ancor di più se operano con risorse pubbliche. Voglio esser chiara, Lo Stato deve esercitare il ruolo che gli compete, in Italia come altrove, è passata l’idea che l'impresa da sola fa il bene di tutti. Credo che ci sia una resistenza politica e culturale all'idea che alle imprese vanno posti dei vincoli. Invece vanno posti, per garantire il benessere delle persone, la qualità del lavoro, e anche per la capacità di continuare a essere il secondo Paese manifatturiero d'Europa.

Poi c'è il tema della formazione
Sì, e su più fronti. È necessaria per gli imprenditori, soprattutto quelli di aziende piccole e medie, su norme e procedure e tecnologie. E, ovviamente, quella per i lavoratori e le lavoratrici. Quando entrano in un nuovo luogo di lavoro e anche in vigenza di contratto. Noi da tempo riteniamo che la formazione, non solo quella sulla sicurezza, debba essere una parte dell’orario di lavoro. Ovviamente servono risorse e vanno previste. Non investire in sicurezza, è questa la consapevolezza che manca, è diseconomico. Per tutti. Per chi rimane vittima degli incidenti e per le loro famiglie – ovviamente –, per gli imprenditori che subiscono fermi delle attività ecc. E per lo Stato che deve far fronte, ad esempio, ai costi economici delle cure e dei risarcimenti. Ovviamente ritengo che il valore della persona, che la vita delle persone, non abbia prezzo ed è per questo che occorre cambiare paradigma, ma se anche ci si volesse limitare a un mero ragionare in termini economici, sarebbe da folli non investire in sicurezza.

Infine, venerdì sarai a Gubbio. A un anno dalla esplosione alla Green Genetics, in cui hanno perso la vita Samuel Cuffaro ed Elisabetta d’Innocenti e in cui altri lavoratori sono rimasti gravemente feriti. Insieme a Cisl e Uil incontrerai i giovani delle scuole della città, e l’iniziativa sarà trasmessa in diretta su Collettiva.it
Andremo a parlare di sicurezza sul lavoro con i ragazzi e le ragazze, è importantissimo far conoscere loro che cosa è o dovrebbe essere il lavoro, quello dignitoso e con diritti. La sicurezza è direttamente proporzionale alla dignità e ai diritti.  Quest’anno sono morti due ragazzi mentre erano in alternanza scuola lavoro – poca alternanza, molto lavoro sfruttato – e allora abbiamo deciso, sia le singole categorie che la confederazione, di avviare progetti con le scuole, con gli studenti per raccontare una storia diversa da quella che conoscono. Troppo diffusa è la convinzione che il lavoro sia precarietà, sfruttamento, competizione. No, il lavoro è realizzazione di sé, è produzione ma è anche il luogo dove si incontrano i diritti e la socialità. E salario dignitoso che restituisce valore sociale. Occorre ridare valore al lavoro e bisogna proprio partire dalle scuole. Anche così si costruisce sicurezza.