Sono giorni decisivi alla Bosch di Bari. Prima lo sciopero dei lavoratori, programmato da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil per tutta la giornata di oggi (venerdì 18 marzo), accompagnato da un presidio ai cancelli dello stabilimento. Si tratta della seconda agitazione, dopo quella effettuata il 25 febbraio scorso con grande successo, visto che l'astensione ha toccato il 90% degli addetti.

A cui si può aggiungere, in tema d'iniziative, anche quella organizzata il 10 marzo dalla Fiom barese assieme all'associazione Libera di don Ciotti, su lavoro, ambiente e Pnrr, per il rilancio del Sud e la lotta contro le mafie, che ha visto la partecipazione di lavoratori di altre aziende del territorio, quali Baritech, Palace hotel, ex Om, Brsi.

La grande affluenza è un segnale importante, spiegano i sindacati -, perché vuol dire che i lavoratori hanno preso consapevolezza del pericolo che stanno correndo in conseguenza dei cambiamenti epocali in atto, in particolare nel settore dell'automotive, per via della transizione ecologica.    

"Si tratta di una vertenza ormai quasi decennale - spiega Ciro D'Alessio, segretario generale della Fiom di Bari - incentrata su un grosso problema: da noi Bosch produce l'80% dei motori endotermici. Il che significa, con la scadenza fissata al 2035 per la fuoriuscita dalla produzione di motori a combustione, diesel e benzina, che ci troviamo di fronte a una vera e propria deadline. Da tempo abbiamo chiesto al management un piano industriale nuovo, che miri alla riconversione con tecnologie green e pulite, sulla falsariga di quanto Bosch ha fatto o sta facendo negli altri stabilimenti nel mondo".       

D'investimenti per la riconversione si parlerà in occasione dell'altra scadenza importante relativa alla vertenza, quella fissata per martedì 22 marzo, al ministero dello Sviluppo economico. Allorquando si terrà l'incontro fra il gruppo tedesco dell'auto, i sindacati dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil e il governo. Materia del confronto: i 700 tagli annunciati il 27 gennaio scorso dalla multinazionale, relativamente allo stabilimento di Bari, pari a circa il 40% del totale della forza lavoro, equivalente a 1.715 dipendenti. 

"Prima di addentrarci nelle pieghe del negoziato - sostiene il dirigente sindacale - è opportuno sottolineare che stiamo parlando di un gruppo industriale che nel 2021, a livello globale, ha fatto 3,1 miliardi di utili e ha investito sulla riconversione dei suoi impianti pressoché ovunque nel mondo. Non stiamo certamente parlando di un'azienda decotta con problemi di bilancio. Viene allora da chiedersi: perché a Bari non c'è alcun progetto per il futuro, ma, al contrario, si parla solo di esuberi?".

Oltretutto, proprio nel capoluogo pugliese vige un distretto industriale con una consolidata tradizione legata all'automotive. Proprio lì sono nati il common rail e l'iniezione diesel, entrati nella classifica delle scoperte più rivoluzionarie del Novecento, che hanno reso i motori con combustibile diesel meno inquinanti. Marchi nazionali, e non solo, sono sbarcati nel corso del tempo a Bari, creando stabilimenti con migliaia di posti di lavoro.

Oltre a Bosch, che vanta anche un centro di ricerche e sviluppo all'avanguardia, ci sono Altecna Weber, già società del gruppo Fiat, trasformatasi successivamente in Magneti Marelli, Getrag (oggi Magna), Skf, Graziano Trasmissioni, Nuovo Pignone. Un comparto di tutto rispetto, che sulla parte meccatronica e meccanica vantava e vanta competenze assai superiori a quelle riscontrate altrove, con un indotto altrettanto virtuoso.   

"Siamo strategici da sempre, e ci sono tutti gli elementi per il rilancio di Bosch sul mercato delle nuove produzioni", sottolinea il leader dei metalmeccanici Cgil: "Senza dimenticare che proprio la multinazionale ha un debito di riconoscenza verso i lavoratori di Bari. Davvero non c'è motivo di ridimensionarci nel modo in cui vorrebbe ora l'azienda. Ragion per cui martedì prossimo, al tavolo al Mise, noi parleremo di progetti di sviluppo, legati al nuovo tipo di mobilità e alle nuove tecnologie, giammai di esuberi. La transizione energetica va gestita, non subita. Altrimenti la pagheremo in termini di chiusure d'impianti e perdita di posti di lavoro".

Al negoziato sarà presente anche il governo: "Non vogliamo che diventi il convitato di pietra. Come al solito, quando si parla di politiche industriali, il nostro esecutivo è in ritardo rispetto agli altri Paesi. Noi tendiamo a subire i processi, anziché gestirli. Stavolta, però, il ministro di turno dovrà prendere posizione. Dovrà dirci, ad esempio, che cosa vuole fare, in generale, del settore dell'automotive, dove sono a rischio 70 mila posti di lavoro. Nel documento che, come sindacati, abbiamo unitariamente inviato nelle scorse settimane al governo, abbiamo denunciato che si rischia un'ecatombe di esuberi". 

Prosegue D'Alessio: "Il problema è l'approccio che si dà sulla materia, sapendo che non se ne esce solo incentivando l'auto elettrica, peraltro quasi sempre prodotta all'estero, visto che anche sotto quel profilo siamo indietro. Noi dobbiamo riconvertire i nostri stabilimenti e le nostre produzioni. Per farlo, il governo deve intervenire sulle imprese, dicendo: ti do i soldi, ma tu collabori allo sviluppo e produci da noi, non all'estero".

Insomma, aggiunge il segretario Fiom, dobbiamo evitare "che vada a finire come alla Magneti Marelli di Bari, dove il progetto di un nuovo motore elettrico è stato fatto in Italia, ma poi la produzione è stata spostata a Colonia, in Germania. È una logica profondamente sbagliata, che abbiamo il timore si espanda anche in Bosch e contro cui ci batteremo con tutte le nostre forze".     

Ma d'interventi governativi ne occorrono anche sul piano occupazionale. "C'è bisogno di strumenti di sostegno per lavoratori e imprese, d'iniziative concrete, con un ammortizzatore sociale ad hoc per la riconversione tecnologica e per il mantenimento della produzione. È un processo lungo e complesso, che durerà diversi anni e che richiede una grossa dose di formazione. Perciò, chiediamo al governo di vigilare su quello che fanno le imprese. Grazie ai fondi del Pnrr abbiamo di fronte un'occasione importantissima per la riconversione delle nostre fabbriche e per l'aggiornamento professionale dei nostri lavoratori. Non possiamo lasciarcela sfuggire. Ne va del futuro del nostro Paese".