Di nuovo in piazza, di nuovo a manifestare, di nuovo in presidio sotto la sede del ministero dello Sviluppo economico il 19 gennaio alle 10, per chiedere quello che gli spetta: il lavoro. I 425 somministrati di Adecco, per tre anni in missione in Poste italiane non si rassegnano a stare a casa. Anzi, con i sindacati di categoria degli atipici, Nidil Cgil, Felsa Cisl e UilTemp, tornano alla carica dopo lo stop definitivo del 31 dicembre scorso, perché reclamano un tempestivo intervento del Mise che dovrebbe richiamare l’azienda di Stato al rispetto degli impegni presi e alla condivisione di eventuali ulteriori percorsi occupazionali.  

Nonostante le promesse ricevute, nonostante l’accettazione del cambio di mansione, da autista per le consegne, con certificazione di abilitazione professionale, a portalettere, nonostante due anni di lotte, a fine 2021 la loro missione nella più grande azienda di recapito d’Italia, partecipata per il 29,3 per cento dal ministero dell’Economia e delle finanze, per il 35 da Cassa Depositi e prestiti, non è stata rinnovata.

“Nel 2021 ancora parliamo di lavoratori in somministrazione, una forma precaria che dovrebbe essere stata abbondantemente superata, visto i danni che ha provocato – afferma il deputato Erasmo Palazzotto, di Liberi e uguali, che prima delle festività natalizie ha presentato un’interrogazione a risposta scritta in attesa di replica -. La vicenda dimostra l’utilitarismo e il cinismo delle aziende, pubbliche o private, le cui attività sono portate avanti da persone che in periodo di pandemia hanno dimostrato un’abnegazione senza precedenti e che, come in questo caso, finito il momento emergenziale, vengono abbandonate al loro destino quando non servono più, ammesso che non servano più”.

In effetti questi lavoratori servirebbero ancora. Le loro mansioni non sono state cancellate, ma loro sono stati sostituiti. Come? A quanto ci risulta, con un’ulteriore esternalizzazione, affidando il servizio ai cosiddetti padroncini. Come accade di solito, in nome del risparmio. “Poste non è un’azienda in crisi, tutt’altro – prosegue Palazzotto, che il 19 gennaio sarà in piazza al fianco dei lavoratori -. Avrà bisogno sempre di nuovo personale. Evitando le stabilizzazioni, con i conseguenti scatti di anzianità, risparmia. Ma sulla pelle di chi? Aumentando le condizioni di sfruttamento, chi paga alla fine? Il cliente, sul quale si scaricano i costi dei disservizi, e il lavoratore precario, che non può progettare nulla. È un mondo del lavoro che è simile a una giungla. Benché sia una piccola vertenza, è simbolica anche perché questa situazione creatasi in un’impresa pubblica, è avallata dal governo”. 

Per chi in questi anni ha invece osato progettare, adesso si pone il problema di come fare fronte agli impegni presi. Succede a Donato Martucci, 35 anni, partito dalla provincia di Taranto nel 2018 e approdato a Mantova prima con un contratto di 4 mesi, a cui ne è seguito un altro di cinque, infine con un tempo indeterminato, sempre con l’agenzia per il lavoro Adecco, sempre in missione alle Poste. “Così ho trasferito tutta la famiglia, moglie e due bambini, abbiamo comprato casa, acceso un mutuo ventennale – racconta -. Eravamo fiduciosi che ci sarebbe stato un futuro, non pesavamo che sarebbe finito tutto. Adesso con gli altri colleghi siamo in disponibilità, prendo un indennizzo di 6-700 euro, ma per una famiglia non è facile, con un mutuo non è facile”.

La stessa sorte è toccata a Gabriele De Luca, di Cosenza, 50 anni, moglie e due figli. Anche lui ha lavorato per tre anni in missione alle Poste “meno un periodo di stop in cui ero a disposizione, finché non mi hanno ripreso come portalettere - racconta -. Tre anni sono tanti, fai progetti per il futuro, credi che prima o poi verrai stabilizzato, assunto direttamente. E infatti noi abbiamo comprato la macchina nuova con un prestito che si è aggiunto al mutuo che già avevamo. Insomma, Poste è un’azienda in attivo e il nostro non è un lavoro stagionale, autisti di camion per il trasporto di pacchi, posta, corrispondenza. Per mantenere il posto ci hanno anche declassati. Come farò adesso? Anche se la mia è una famiglia con un solo reddito, preferisco pensare in positivo”.

E pensare che il gruppo Poste, 191mila occupati come effetto diretto, indiretto e indotto, nel sito cita tra gli otto pilastri la “valorizzazione delle persone” e dichiara che con la sua attività vuole dare un contributo al raggiungimento del Goal 8 degli Obiettivi di Sviluppo sostenibile dell'Onu, e cioè quello del “lavoro dignitoso". Si era impegnata con il ministero dello Sviluppo economico a garantire la continuità occupazionale dei somministrati, proponendo un cambio di mansioni, e invece non l’ha fatto, rimangiandosi la parola. Ha disertato successivamente il confronto al tavolo convocato presso il Ministero con i sindacati. Pur essendo un'azienda a partecipazione statale preferisce ricorrere al turnover dei lavoratori, o meglio alla sostituzione di dipendenti in somministrazione con un’ulteriore esternalizzazione del servizio, una scelta che favorisce la precarizzazione del lavoro.

Tutte questioni sulle quali abbiamo interpellato Poste per chiedere una risposta, che però non è mai arrivata. Alla ricerca di risposte abbiamo contattato anche l’onorevole Gilberto Pichetto Fratin, viceministro allo Sviluppo economico, che si era interessato della vicenda e aveva ricevuto le delegazioni dei sindacati e dei lavoratori, ma ci hanno fatto sapere che questa vertenza non dipende dal Ministero, che secondo Poste è Adecco a dover trovare una soluzione (questo è stato loro riferito) e che riprendere in mano la faccenda significherebbe fare un altro buco nell’acqua. Insomma, il solito scarica barile, dove a essere scaricati sono soltanto i lavoratori.