“Lasciamo lavorare solo la Befana e rispettiamo anche questa festa nazionale. Perché nella liberalizzazione degli orari e delle aperture commerciali non c’è nessuna libertà”, così in post su Facebook, la Filcams ricorda l’importanza di concedere il giusto riposo chiudendo le attività commerciali

Tutto è cominciato con il decreto-legge 201 del 2011, noto come decreto Monti o Salva Italia. La salvezza del Paese passava, tra le altre cose, dalla liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali, già introdotte in via sperimentale dall’ultimo governo Berlusconi e poi definitivamente sancite dal suo successore. La deregulation di orari e aperture nel commercio è andata in scena a partire dal primo gennaio 2012 e da allora, con la costante contrarietà dei sindacati e una serie di proposte di modifica e di abrogazione cadute nel vuoto, è restata la norma.

Ventiquattrore al giorno, tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività incluse: un regime pensato per incrementare la libera concorrenza, far crescere i consumi in un periodo di recessione e di ben scarsa capacità di spesa che avrebbe dovuto rafforzare ipermercati e centri commerciali, ma che di fatto ha solo decretato la crisi di migliaia di esercizi e ha peggiorato la qualità della vita di tutti i lavoratori coinvolti, senza risollevare le sorti delle grandi superfici. 

La festa non si vende, è una campagna che la Filcams Cgil porta avanti da dodici anni con campagne di sensibilizzazione che da allora accompagnano tutte le date in rosso del calendario, che per molti lavoratori sono nere come tutte le altre. La richiesta del sindacato è semplice: chiudere i festivi e regolamentare le domeniche.