Siamo di fronte ad una manovra che su alcuni aspetti non ha il tratto dell’equità. È una manovra che, nel caso della riduzione dell’Irpef, agisce in netto contrasto anche rispetto a quanto stabilito dalla nostra Costituzione, laddove sancisce il principio della progressività della tassazione, in ragione delle capacità di spesa di ogni singolo contribuente. Le proposte di riduzione delle aliquote, da cinque a quattro, premiano di più i redditi medio alti, lasciando pressoché inalterate le condizioni di quelli più bassi, che invece dovrebbero essere al centro dell’azione di governo, poiché hanno sofferto maggiormente non soltanto gli effetti della pandemia, ma anche della frammentazione del mercato del lavoro.

Questa manovra non affronta, peraltro, neppure uno dei problemi più urgenti che è l’eccesso di precarietà; tant’è che nonostante la ripresa economica, l’occupazione continua ad essere caratterizzata da contratti a tempo determinato. E questo riguarda non soltanto i lavoratori più anziani, ma anche i più giovani, ai quali non viene riservata un’attenzione adeguata neppure sotto il profilo previdenziale. Nulla si dice, infatti, della proposta dei sindacati sulla pensione di garanzia.

Durante la pandemia, noi come patronato, abbiamo potuto constatare quanto sia stata massiva la richiesta di accesso ai numerosissimi bonus, specchio di una povertà sempre più estesa, che investe le fasce più deboli della popolazione, soprattutto nel mezzogiorno, che rappresenta un altro grande problema non sufficientemente affrontato nella manovra. Altro elemento preoccupante riguarda il volontariato e il terzo settore in generale. Ci preoccupa la decisione di introdurre l’Iva sull’attività svolta dal mondo dell’associazionismo, che rischia di compromettere l’esercizio della solidarietà nel paese, di cui il terzo settore e il volontariato sono la massima espressione.