Nel 1950 alla Officine meccaniche italiane s.a. - meglio note come Officine meccaniche reggiane, o più semplicemente Reggiane - a fronte di un piano di 2.100 licenziamenti, inizia la più lunga occupazione di una fabbrica da parte degli operai della storia italiana. In linea con il Piano del lavoro della Cgil nazionale e a dimostrazione della effettiva convertibilità della produzione da bellica a macchinari per l’agricoltura, nel corso dell’occupazione viene progettato e prodotto il trattore cingolato ‘R60’.

“È nato il trattore R60 - titolava nel dicembre 1950 Lavoro - Il ‘fischione’ delle Reggiane ha emesso il suo primo lamento, ed i passanti frettolosi si sono fermati d’incanto guardandosi tra loro, chi attonito e chi pensoso, mentre gli urli prolungati e intermittenti si susseguivano, fendendo l’aria gelida del mattino. Era il segnale preannunziato. Molti hanno affrettato il passo con la speranza di poter entrare nello stabilimento e di assistere alla singolare cerimonia della colata del metallo fuso e incandescente negli stampi che danno forma e corpo al famoso trattore R60. I celerini sbarravano le numerose porte di accesso alla fabbrica, però quella folla è entrata ugualmente. Tra questa folla vi era una milanese che andava ripetendo con un flemmatico sorriso ‘Chi ha ragione una via la trova sempre’”. 

“Questa mattina 21 giugno 1951 ndr con grande sorpresa da parte della polizia come pure delle maestranze - si legge ne Il diario di Bleki, cronache dall’occupazione delle Omi Reggiane - verso le 10 il trattore R60 è uscito dalla fabbrica per la prima volta tra il grande entusiasmo di tutti i lavoratori. Il trattore è andato poi nel campo presso l’Enal aprendo profondi solchi con un aratro bivomere dando un’ulteriore prova del grande gioiello creato dalla classe operaia in lotta. Mentre il trattore faceva il suo lavoro le maestranze lo seguivano cantando inni di lotta, poi invece di rientrare al solito posto ci siamo incolonnati e percorrendo via Bligny siamo rientrati per la portineria vecchia facendo venire un po’ di fifa agli scelbini che hanno fiaccato il telefono. La manifestazione ha portato entusiasmo nelle maestranze, sul viso di ognuno si vedeva la soddisfazione, mentre noi uscivamo col trattore i giovani hanno inscenato una manifestazione in città e davanti alla Prefettura”.

L’occupazione durerà diversi mesi e gli operai festeggeranno in fabbrica anche il Natale del 1950 (nell’approssimarsi delle festività natalizie in numerosi negozi della città compaiono cartelli con scritto ‘Qui si fa credito alle maestranze delle Officine Reggiane’) e la Pasqua successiva.

Si legge sempre su Lavoro:

La voce dei tre trattori R. 60, costruiti dai lavoratori delle Reggiane durante i mesi della lotta ha ripetutamente echeggiato nella giornata di Pasqua che le maestranze del nostro massimo complesso industriale sono state costrette a festeggiare all’interno della fabbrica. In quel giorno i lavoratori delle reggiane si sono trovati insieme riuniti, come in qualsiasi altro giorno di lavoro, nella fabbrica da lungo tempo difesa. Con loro era la popolazione generosa della nostra città, con loro erano i dirigenti tra cui il senatore Roveda. Nei luoghi che vedono il loro quotidiano lavoro e dove essi sperimentano le loro qualità di abnegazione e di sacrificio, e hanno saputo mostrare la propria capacità di direzione, gli operai hanno consumato il pasto pasquale. Il rombo potente del trattore è stato certo il migliore commento a questa giornata di festa che per gli operai ha dovuto essere anche di lotta per l’intransigenza e l’ostinazione della direzione e del governo. Le maestranze delle Reggiane guardavano i trattori come si guarda una creatura vivente che è uscita dalle nostre mani; il rumore dei trattori aveva qualcosa di umano, di quell’umanità che gli operai avevano comunicato costruendoli, qualcosa come i battiti di un cuore. Sì, la Pasqua alle Reggiane non poteva avere migliore commento dell’urlo delle sirene, della voce viva dei trattori, non poteva avere miglior cornice delle cento e cento bandiere tricolori e della pace messe sulle gru, dell’animazione serena della folla stretta attorno alle maestranze e che rompeva il grigiore quasi autunnale della Pasqua precoce. C’erano tutti alla festa: gli operai e i cittadini, tutto quello che costituisce la nostra speranza e la fiducia nell’avvenire del Paese; c’erano gli uomini generosi che da sei mesi non hanno percepito salario e fanno pulsare le macchine per costruire gli strumenti del progresso e della vita.

L’8 ottobre del 1951, guidati da Giuseppe Di Vittorio con alla testa tre trattori R60, in migliaia usciranno dalle Officine, decretando la fine dell’occupazione della fabbrica dopo 368 giorni.

“La vostra condotta - affermava il segretario generale della Cgil nel novembre precedente consegnando alla Camera del lavoro di Reggio Emilia il secondo premio per la gara di emulazione nazionale per la campagna di tesseramento - non suscita soltanto l’ammirazione dei lavoratori reggiani, ma anche di coloro che comprendono come, difendendo lo stabilimento, si conduce una battaglia per la vita e per la necessità che in Italia ognuno viva del proprio lavoro”.

Schiere d’eroi umili ed offesi
Affratellati da un ideal
Marciamo uniti contro i borghesi
Pronti a sferrare l’attacco fatal

 All’erta compagni
 Il giogo si schianta
 Alziamo il vessillo
 Sull’erre sessanta
 Sul nostro cammino
 Di strazi e di pene
 Bandiera di pace e di libertà

Trattore passa e va
 Bandiera di pace e di libertà

Trattore passa e va

Grande e gloriosa
È la classe operaia
Alle Reggiane lotta con valor
Dalla miniera alla risaia
S’ode il fragore del nuovo trattor
 All'erta compagni...