Ora la verità sulla morte della giovane operaia tessile, Luana D’Orazio, avvenuta lo scorso 3 maggio in azienda, assume il contorno definito di uno sprezzo per la vita umana che spaventa e sgomenta. C’erano pochi dubbi sul fatto che la manomissione dell’orditoio che stritolò la lavoratrice avesse come fine un maggior guadagno, ma fino a ieri non si conoscevano i dati. Ebbene, secondo le indagini appena concluse, il blocco del cancello di sicurezza del macchinario di Luana avrebbe fruttato l'8% di produzione in più. Eccolo, il prezzo della vita di Luana e di chissà quante altre vite di operaie e operai che, nonostante i sabotaggi dei dispositivi di sicurezza, sono ancora vivi, per miracolo, verrebbe da pensare.

La relazione del consulente tecnico parla chiaro: Luana è morta a causa della manomissione dell'orditoio. La ragazza restò agganciata a una sbarra che sporgeva più del dovuto e che la trascinò dentro al motore tirandola per la maglia. Il corpo della giovane girò per due volte "in un abbraccio mortale", come ha scritto il perito. Dopo 7 secondi un compagno di lavoro intervenne spegnendo il macchinario con il pulsante di stop. Nel frattempo Luana era morta per "lo schiacciamento del torace", come confermato dall'autopsia. Se il cancello di protezione fosse stato abbassato come dovuto, Luana non si sarebbe trovata in quella posizione pericolosa. La serie di manomissioni sul macchinario, secondo il perito, ha creato il nesso causale con la morte della ragazza.

Per il decesso dell'operaia sono indagati Luana Coppini, la titolare dell'azienda, la "Orditura Luana" con sede a Montemurlo, provincia di Prato; il marito, Daniele Faggi, considerato l'amministratore di fatto; e il tecnico manutentore, Mario Cusimano. Per tutti e tre i reati ipotizzati sono omicidio colposo e rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.

Ne abbiamo parlato con Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil.

La vita di Luana D’Orazio, secondo le indagini appena concluse, valeva un surplus produttivo dell’8 per cento. Come si cambia la cultura di molti imprenditori, pronti a barattare la sicurezza dei propri dipendenti per profitto, per altro modesto?

È certamente anche e soprattutto una battaglia culturale quella per la sicurezza sul lavoro, in un paese in cui si è arrivati a pensare che la vita di Luana D’Orazio potesse essere messa a rischio per un aumento della produzione dell’8 per cento. E questo è uno dei motivi che ci ha spinto a chiedere al governo che la formazione sulla sicurezza sia obbligatoria non solo per i lavoratori, ma anche per gli imprenditori. Citiamo sempre un dato: ogni euro investito in sicurezza produce 4 euro di utili in più. Ma le nostre richieste non si fermano qui. Proprio nel recente incontro dedicato alla sicurezza sul lavoro, al premier Draghi abbiamo chiesto che quella della salute e della sicurezza sul lavoro diventi una materia da insegnare nelle scuole, come si fa con la storia o la geografia. Si parta dai ragazzi affinché, fin da piccoli, sviluppino una sensibilità sul tema dei rischi sul lavoro, delle malattie professionali, un tema che può avere delle consonanze anche con quello dell’ambiente. Basti ripercorrere la lunga vertenza amianto, di fatto ancora in corso, e basti pensare a tutti quei cittadini che si sono ammalati perché nelle vicinanze della loro abitazione c’erano siti dove non si produceva in sicurezza. Quel che è certo è che questi temi devono entrare a far parte del nostro quotidiano, non se ne deve parlare soltanto di fronte alle tragedie.

I sindacati, il 27 settembre scorso, hanno parlato di salute e sicurezza con il Presidente del Consiglio Draghi. Che cosa avete chiesto? Qual è la sintesi degli elementi emersi da quell’incontro e quali effetti potrebbero avere sul piano concreto?

Abbiamo chiesto assunzioni, non solo per quanto riguarda l’Ispettorato nazionale del lavoro, ma anche per gli Spresal, il servizio prevenzione, perché occorre aumentare i controlli in tutti i luoghi di lavoro. Abbiamo chiesto la formazione obbligatoria preventiva per tutti i lavoratori, teorica e pratica, da svolgersi prima che vengano inseriti nell’organizzazione del lavoro. Abbiamo chiesto che si acceleri la costituzione di una banca dati nazionale, strumento utile a capire l’andamento degli infortuni, i settori e i siti nei quali sono più frequenti, le diverse tipologie. Inoltre, abbiamo chiesto che, dove accadono infortuni gravi, si proceda alla chiusura dell’impresa e, solo una volta che sarà messa in regola, la si potrà riaprire. Da tempo ci battiamo per l’introduzione di una patente a punti, non solo per l’edilizia, ma per le imprese di tutti i settori e soprattutto per tutte le aziende in appalto: dall’edilizia al trasporto, dalla metalmeccanica all’agroindustria, alla logistica, per poter partecipare a una gara ed eventualmente aggiudicarsi un appalto le aziende dovrebbero dimostrare che rispettano e applicano correttamente le norme su salute e sicurezza. In ogni luogo di lavoro, lo ha più volte ripetuto il nostro segretario generale, Maurizio Landini, deve essere eletto un rls, un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, e laddove ci sono piccole e medie imprese, devono aumentare gli rlst, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriale, e deve migliorare la loro agibilità nello svolgimento del ruolo. L’obiettivo raggiunto, in quell’incontro, è la condivisione, da parte del governo, del nostro allarme sul tema. L’esecutivo sente la necessità di intervenire velocemente, a partire dalla formazione, e vuole mettere in campo meccanismi sanzionatori per quelle imprese dove accadono incidenti molto gravi.

La battaglia non può essere solo italiana. Sulla sicurezza sul lavoro intervengono fattori macroeconomici e di sistema, perché, senza giustificare il cinismo di alcuni imprenditori, la concorrenza e il dumping propri del mondo globalizzato spingono alla rincorsa al profitto. Quello che è successo a Montemurlo dipende anche da quello che succede in Cina o in India. Il sindacato si sta muovendo anche a livello internazionale su questo tema, per fare pressione sulle istituzioni europee e non solo? E quali sono le risposte che ottiene?

In Europa abbiamo partecipato alla stesura di un documento sulla strategia che l’Unione vuole adottare su salute e sicurezza. C’è un dibattito aperto con le istituzioni continentali. Come sindacati europei e come Cgil, abbiamo chiesto l’aumento del numero degli ispettori in tutti i paesi, visto che dappertutto sono diminuiti. Maggiore spazio alla contrattazione, soprattutto perché la frammentazione del lavoro e la dilagante precarietà si traducono in meno diritti per i lavoratori, anche sul tema salute e sicurezza. Anche in Europa abbiamo chiesto che siano eletti rls in tutti i luoghi di lavoro e che gli rlst siano proporzionati alla densità dei siti produttivi nei vari territori.