Ancora nulla di fatto per Elica. L'atteso incontro tra parti sociali e Mise di oggi (lunedì 3 maggio) non ha migliorato una situazione che appare sempre più compromessa. L'azienda marchigiana ha ribadito la volontà di portare avanti i suoi obiettivi: 409 esuberi complessivi (su 560 dipendenti), chiusura dello stabilimento di Cerreto d'Esi (Ancona) e delocalizzazione nell'Europa orientale. “Quanto sta accadendo è paradossale”, dice Pierpaolo Pullini della Fiom Cgil di Ancona: “L'azienda non vuole discutere, ma non possiamo accettare delocalizzazioni e licenziamenti”.

Elica è leader nella progettazione e nella produzione di cappe da cucina a uso domestico. Nata negli anni Settanta, possiede ben sette impianti e conta circa 3.800 dipendenti tra Italia, Polonia, Messico, India e Cina. L'azienda ha una produzione annua di oltre 20,7 milioni di pezzi per motori elettrici e per caldaie da riscaldamento. Volumi di produzione importanti, ma le scelte della dirigenza sembrano procedere in un'altra direzione.

Secondi i sindacati, il piano di ristrutturazione era e rimane inaccettabile. “L'azienda ha confermato quanto ci ha comunicato qualche settimana fa”, continua l’esponente sindacale: “Di conseguenza, i lavoratori e le lavoratrici di Elica hanno scelto di mobilitarsi contro la decisione del management. Esuberi e chiusura dello stabilimento non sono tollerabili. Il settore è solido e le perdite sono state recuperate. Un'intera provincia e un sistema economico rischiano di perdere tutto. Questa regione ha già pagato abbastanza”. 

Le segreterie nazionali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil avevano scritto una lettera al ministro dello Sviluppo economico Giorgetti chiedendo un incontro per cercare di scongiurare la delocalizzazione e i licenziamenti. Dopo il primo confronto del 20 aprile, nelle scorse settimane si sono susseguiti scioperi, presìdi, assemblee e manifestazioni di protesta. La mobilitazione dura ormai da un mese. A fine aprile un gruppo di dipendenti ha occupato parzialmente la rampa d'ingresso della strada statale 76, mentre altri hanno bloccato il traffico della superstrada.

“La decisione dell’azienda rischia di provocare un disastro sociale e la desertificazione industriale del territorio”, riprende Pullini: “L’unica soluzione possibile è il mantenimento delle produzioni sul territorio di Fabriano”. Considerando poi l'aumento delle commesse e la crescita del settore, le organizzazioni sindacali dicono di non comprendere le scelte della proprietà: “Non siamo in presenza di una crisi industriale che possa giustificare i licenziamenti. Questa de-localizzazione è una scelta: la domanda e il lavoro ci sono, ma decidono di trasferire dove costa meno”.

Secondo la Fiom, il ritiro del piano permetterebbe di aprire una discussione su come rendere possibile il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali nel territorio di Fabriano. Ma anteporre il profitto al benessere dei dipendenti non è la via da perseguire. “Elica vuole tagliare i costi e migliorare il bilancio – aggiunge il responsabile della Fiom – ma poi concede milioni di euro di buonuscita ai manager e chiede gli ammortizzatori sociali. Il governo deve richiamare la multinazionale alle sue responsabilità, impedendole di smantellare gli stabilimenti”.

Anche il ministero e la Regione hanno ribadito la contrarietà al progetto di Elica e confermato la loro disponibilità a valutare tutti gli strumenti da mettere a disposizione. Ma ora Fiom, Fim e Uilm chiedono alle istituzioni di fare di più. Intanto, da domani ripartono le assemblee, mentre da mercoledì ancora scioperi e presìdi.

L'obiettivo è sempre lo stesso: far sentire la voce di chi, da mesi, rischia di perdere il posto di lavoro per colpa di scelte scriteriate e poco lungimiranti. “Lo ribadisco ancora una volta: non accetteremo mai un piano fatto di esuberi, chiusure e trasferimenti di produzione”, conclude Pullini: “Lavorare qui è ancora possibile, ci sono tutte le condizioni per andare avanti. Il tessuto economico di Fabriano ha dato tanto a questa azienda. La nostra battaglia continua e siamo pronti a confrontarci”.