A gennaio 2020 Ilaria è incinta di tre mesi. Da anni lavora in una cooperativa che si occupa di assistenza domiciliare nella zona di Manduria. Lo fa bene. Lo fa con passione. È il suo lavoro. È un momento complicato, però, perché in azienda si discute di un cambio d'appalto: il passaggio di mano da una cooperativa all'altra e i dipendenti chiedono garanzie, vogliono un contratto ponte per assicurare sia la continuità del servizio che quella del proprio lavoro. Nel bel mezzo di questa discussione arriva la lettera di licenziamento. Ilaria non avrebbe dovuto riceverla: licenziare una lavoratrice incinta è vietato dalla legge. Eppure viene lasciata a casa.

Perché l'ingiustizia sia sanata ci vuole più di un anno. E servono la decisione di un tribunale e di un giudice che nella sua sentenza ha voluto richiamare "non solo le norme sulla clausola sociale previste per il settore, ma anche i fondamentali del diritto del lavoro che dispongono il divieto di licenziamento per le donne in gravidanza". Ilaria dovrà essere reintegrata. 

Una vittoria - commenta il sindacato che l'ha supportata in questa lotta giudiziaria - che lascia, per,  l'amaro in bocca perché ancora una volta si è dovuto "passare dai tribunali per vedere affermati i diritti di lavoratrici e donne in gravidanza - afferma Tiziana Ronsisvalle, segretaria della Fp Cgil tarantina dopo la sentenza. -  Ilaria ha subito un'ingiustizia nel periodo forse più delicato della vita di una donna ma la storia di questa giovane lavoratrice dice anche quanta strada ci sia ancora da fare per affermare l’ovvio, il sacrosanto, il giusto, specie in ambienti come quelli del terzo settore che ancora si basano su contratti precari, lavoro saltuario e diritti negati, e in cui le stazioni appaltanti non possono più girare lo sguardo dall’altra parte. Ilaria tornerà a lavoro e a contatto con i suoi assistiti a partire dalla prossima settimana, e potrà raccontare alla sua piccola Alice, nata nel giugno del 2020, che nessuna donna può esser trattata così".