Gli ultimi dati dell’Istat lo affermano con chiarezza: il 2020 – benché mitigato dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione Covid – è stato l’anno della perdita di posti di lavoro. Si è perso il 2% dell’occupazione. Non solo, ad esser aumentato e di tanto è il tasso di inattività che si attesta al 35,9% mentre il tasso di occupazione scende al 58,1. Troppi, davvero troppi quelli rassegnati che non cercano più il lavoro. Troppi, davvero troppi quelli che sono stati espulsi dal mercato del lavoro perché strutturalmente “fatto male”.

Secondo la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti il punto è proprio questo: “È vero che la pandemia ha accresciuto le diseguaglianze, nella società e nel mondo del lavoro. È vero che gli effetti generati dalla pandemia sulle economie si dispiegheranno in un tempo oggettivamente più lungo della emergenza sanitaria. Ma è vero anche che l’acuirsi di queste diseguaglianze dipende dalla natura e dalla struttura del mercato del lavoro”. Per dare gambe a quanto afferma Scacchetti basta analizzare i dati, non soltanto dal punto di vista quantitativo, ovvero il numero dei posti di lavoro persi, ma anche da quello qualitativo.

Non tutti i settori sono colpiti nello stesso modo, così come generi e generazioni di occupati sono colpiti in maniera differente. Sentiamo ripetere da mesi che la crisi da Covid colpisce le donne, colpisce i giovani. Sono gli stessi numeri a rivelarlo, le donne che non hanno più lavoro sono quasi il doppio degli uomini. L’Italia, si sa, già prima del Covid è fanalino di coda in Europa per occupazione femminile. E, sottolinea Scacchetti: “Guardando al dato relativo alle generazioni si evidenzia che nella fascia 15-34 anni si concentra la più forte diminuzione del numero di occupati e del tasso di occupazione, insieme al più marcato aumento del tasso di inattività”.

Per capire davvero la radice antica delle diseguaglianze occorre guardare un altro aspetto. Il calo dell’occupazione riguarda soprattutto i contratti a tempo determinato e quelli a part-time, e contemporaneamente aumenta proprio il part-time involontario. Se si analizzano diversi settori si scopre che la contrazione di occupazione si registra soprattutto nel commercio (-9,6%), nelle attività alberghiere e della ristorazione (-46,6%), nel noleggio e nelle agenzie di viaggio (-11%), nelle attività artistiche e di intrattenimento (- 43%). Questi sono proprio i settori con un’alta percentuale di manodopera femminile, attraversati fortemente da contratti precari e part-time involontari.

Come si vede il Covid ha scatenato la propria forza distruttrice su una situazione già fortemente foriera di diseguaglianze. Come intervenire? “Innanzitutto, afferma la segretaria confederale: pensando a due diverse strategie. Occorre mettere in campo provvedimenti in grado di dare risposte nell’immediato alla crescente povertà anche di chi lavora. E poi occorre individuare strategie a medio e lungo periodo”.

Certo, una delle prime cose da fare è riformare gli ammortizzatori sociali in senso universalistico, contemporaneamente occorre proseguire con le misure di contrasto alla povertà. “Ma bisogna – conclude Scacchetti – scegliere di ridurre le diseguaglianze e scegliere l’inclusione e quindi la riduzione dei divari come asset strategico. Gli investimenti, le risorse economiche che saranno a disposizione del Paese devono essere indirizzati a piani che determinino crescita occupazionale”. 

Per fare tutto questo occorre riaffermare il valore del pubblico e proprio per questo, secondo la segretaria confederale, serve il “rilancio dell’occupazione pubblica, rilancio degli investimenti pubblici e privati, e un grande rafforzamento del welfare che possano contrastare la povertà e l’esclusione sociale”. A lungo termine, infine, sarà necessario correggere le storture del mercato del lavoro italiano rendendolo meno precario e più inclusivo. Insomma, non solo più occupazione ma anche più lavoro di qualità.