Il mondo del commercio, nelle sue diverse declinazioni, non ha mancato di sperimentare nessuna delle difficoltà che con il diffondersi della pandemia hanno investito e scosso la società del lavoro. È stato e continua ad essere da una parte lo specchio che riflette la parabola altalenante e mai arrestata del rischio sanitario, dall’altra il corpo che incarna le conseguenze delle azioni volte a contenere il contagio, martoriato da chiusure, riaperture complicate, organici sfoltiti dalla cassa integrazione e invasioni difficili da disciplinare.

La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è stata fin dal principio al centro dell’organizzazione del settore alimentare, che ha dovuto attrezzarsi in corso d’opera per garantire un servizio che non poteva essere sospeso, passando attraverso le incertezze e le conoscenze approssimative che hanno caratterizzato la prima fase dell’emergenza. Il lavoro dei sindacati, le denunce dei lavoratori, la costituzione di comitati dedicati hanno portato – non sempre in tempi sufficientemente rapidi, a causa della resistenza di alcuni referenti - all’adozione di tutte le misure necessarie, dai dpi alla segnaletica per il distanziamento interpersonale, al contingentamento degli ingressi. Ma le più recenti impennate di una seconda ondata che non mostra ancora grandi segni di ritirata hanno riportato alla ribalta la questione della sicurezza: perché gli ingressi sono sostanzialmente liberi, la clientela non mostra più la stessa attenzione nell’uso dei dispositivi e nel rispetto delle distanze, il timore per la salute – la propria e quella dei familiari – è stato corroso dalla stanchezza.

Continua così ad essere necessario sollecitare imprese e clientela, ricordare che i rischi ai quali i lavoratori sono esposti quotidianamente per interi turni di servizio non sono affatto diversi da quelli che avevano tenuto il Paese in stallo la scorsa primavera. È stato un moto sussultorio quello che ha attraversato il comparto commerciale no food. Prima la grande serrata, dalla quale gli esercizi più fragili non si sono ripresi, poi un ritorno all’attività regolato da norme severe, che per alcuni settori merceologici, come elettronica ed elettrodomestici, ha portato un aumento straordinario delle vendite che ad oggi non conosce flessione, sull’onda della migrazione delle risorse familiari da un fronte all’altro.

Le norme sono state allentate poi con l’estate, sono spariti i termometri e la conta all’ingresso, l’uso delle mascherine è diventato più distratto, alle distanze si è cominciato a pensare di meno: è in questo scenario che si è inserita la recrudescenza della pandemia in autunno e gli addetti alle vendite si sono trovati di nuovo a fare i conti con una seria esposizione al rischio di contrarre il virus. Sono arrivati i casi di positività e i lavoratori sono stati sorpresi da una gestione quasi omertosa di questi eventi da parte delle aziende, in nome della privacy: i dipendenti si informano tra loro, se sono incerti sui contatti avuti con la persona infetta cercano di proteggere i familiari, non vanno a trovare i genitori per due settimane, ma non smettono di lavorare. La sanificazione dei locali, per lo più identica a quella svolta di routine, è considerata dalla più parte delle aziende sufficiente a smarcare il negozio dalla comparsa del virus. Si continua a lavorare, come se niente fosse successo.

Una parte del personale è sempre in cassa integrazione e la copertura dei negozi è scarsa, i commessi non riescono a tenere tutto sotto controllo, soprattutto con i grandi afflussi che continuano nonostante tutto: a novembre un lungo Black Friday ha affollato esercizi e centri commerciali, le chiusure del fine settimana stanno creando addensamenti nella giornata del venerdì, nei negozi di abbigliamento una clientela frettolosa mette tutto a soqquadro e raddoppia il lavoro dei commessi, che hanno pile di abiti da igienizzare e rimettere a posto. E ora la sfida dello shopping natalizio.

“Le imprese devono alzare l'attenzione, in particolare sui contingentamenti agli ingressi – dice Alessio Di Labio, segretario nazionale Filcams Cgil -, ma anche nelle aziende più virtuose ci scontriamo costantemente con un popolo di consumatori che fatica a rispettare le regole e tenere un'adeguata condotta."