Le banche sono servizi essenziali. E su questo non ci piove: correttamente, dunque, l’ultimo dpcm del governo sull’emergenza Covid -19 lo prevede. Ma quali dei suoi servizi lo sono davvero? Vendere prodotti commerciali? Sollecitare la stipula di polizze sanitarie che prevedono, magari, anche il rischio Coronavirus? Sembra incredibile, ma in una fase così complicata per il paese sta accadendo proprio questo: molti istituti stanno sollecitando i propri lavoratori a darsi da fare per incrementare la vendita di prodotti di questo tipo. Business as usual, insomma: altro che limitarsi a ciò di cui anche in questa fase non si può fare a meno.

La denuncia arriva da tutti i sindacati di categoria dell’Emilia-Romagna (ma anche il Veneto si è mosso in questa direzione), che hanno scritto una lettera ai prefetti della regione per segnalare situazioni diffuse in molte aziende del credito, delle assicurazioni e dell’appalto assicurativo, e chiedere “se i comportamenti sopra descritti siano in linea con la ‘ratio’ dei decreti recentemente emanati” e, se così non fosse, “di intervenire con estrema urgenza sollecitando verifiche e sopralluoghi”.

Purtroppo è proprio così – spiega Gianni Luccarini, segretario generale della Fisac Emilia-Romagna –. Già le pressioni commerciali non sono un granché, ma di questi tempi favorire l’afflusso di clienti in filiale, per quanto non illegale, rappresenta una cattiva interpretazione dei decreti. È giusto che le banche siano aperte per i prelievi di denaro, per intervenire se una carta non funziona, per pagare le pensioni, ma la parte commerciale è un’altra cosa: qui non c’è nulla di essenziale. Se poi aggiungiamo che in alcuni casi ai clienti si suggerisce che questo può essere il momento giusto per fare buoni investimenti, allora proprio non ci siamo”.

Una situazione che fa ancora più rabbia se si pensa, dice ancora Luccarini, “che in quasi tutte le banche l’attenzione alla prevenzione sanitaria non è un granché. Poche mascherine, difficoltà a mantenere le giuste distanze tra colleghi, dipendenti costretti a regolare fuori dalla sede il flusso dei clienti. Insomma, il momento non è facile”.

Una conferma di questa situazione arriva direttamente dalle sedi degli istituti. “Registriamo mail dei capi mercato e dei responsabili commerciali dei vari segmenti che riprendono i dipendenti perché le agende dei loro appuntamenti sono vuote – ci dice Anna Raffaini, dipendente di Intesa San Paolo e dirigente Fisac regionale –. Addirittura, visto che le banche sono chiuse nel pomeriggio, li si esorta a contattare direttamente i clienti per farli venire poi in sede. Il risultato è paradossale: regoliamo i flussi di entrata in filiale delle persone, poi però anche per questo motivo si formano le file”. Il che è ancora più grave per il fatto che a essere più esposti sono gli anziani, cioè la categoria più a rischio in questo periodo: quelli che hanno minore capacità di usare device a distanza e che se decidono di fare un investimento hanno bisogno di parlare personalmente con gli operatori. “Sono situazioni che abbiamo denunciato con forza all’azienda – aggiunge Raffaini –. Le regole vanno rispettate e, in generale, occorre far in modo che vengano utilizzati il più possibile i servizi online”.

Stessa situazione, più o meno, in Crédit Agricole. Ce la racconta Davide Foschi, dipendente dell’istituto (che in regione ha ben 4.500 addetti, 2.000 dei quali nelle filiali): “L’azienda manda sms ai clienti e li invita a contattare telefonicamente le filiali per proporre prodotti commerciali. Formalmente la procedura è corretta. Tuttavia poi alcuni di questi clienti di loro iniziativa, soprattutto i più anziani, passano direttamente in filiale anche perché magari trovano occupato. Queste iniziative, dunque, producono poi comportamenti distorsivi rispetto alla situazione di emergenza che bisogna gestire”.

D’altro canto, in un settore come quello bancario in cui spesso lavoratori e clienti sono molto vicini fisicamente, sottolinea Foschi, “tutelare i dipendenti significa anche tutelare i cittadini”. E da questo punto di vista Crédit Agricole, come molte altre aziende anche di altri settori, è indietro: “Non vediamo consapevolezza o iniziative dell’azienda per intervenire su un modello organizzativo che per i prossimi mesi andrà sicuramente cambiato – attacca Foti –. Anche a partire dalla cose più semplici, tipo i plexiglass divisori che mancano, o le scrivanie molto ridotte e in cui spesso cliente e lavoratore siedono l’uno vicino all’altro”.

Un risultato importante la pressione sindacale sembra averlo ottenuto in Bper, la Banca popolare dell’Emilia Romagna, tra gli istituti più importanti nella regione. Solo fino a due giorni fa, quando in particolare in questo territorio rischi e precauzioni necessari erano ben presenti anche prima dell’ultimo decreto del governo, erano in corso campagne commerciali molto sostenute, una delle quali in particolare dal titolo veramente beffardo: “Chiama un anziano”.

“Siamo riusciti a far sospendere questa campagna e tutte le altre che comportavano spostamenti dei clienti verso la filiale o dei dipendenti verso le case delle persone – rivendica Nicola Cavallini, dipendente Bper e dirigente della Fisac regionale –. Ciò non toglie che all’interno della struttura della banca ci siano quadri intermedi che fanno finta che la situazione sia normale e ogni tanto lanciano ‘richiami’ di carattere commerciale ai lavoratori fuori luogo. Tutto questo, però, sotto la propria personale responsabilità, giacché l’azienda ha mandato un segnale chiaro”.

La situazione di crisi fa però emergere, come spesso capita, un gap profondo che Bper ha rispetto ad altri istituti, e che è di natura tecnologica. “Il nostro istituto ha in tutta Italia 8.000 dipendenti – riprende Cavallini –. Ebbene, le postazioni di smart work messe a disposizione dall’azienda sono appena 500, di cui però la metà dedicata solo all’emergenza. Insomma, abbiamo il paradosso di un sistema bancario che spinge per l’innovazione tecnologica come strumento per ridurre il personale fisicamente presente in filiale e che però nel nostro caso, quando c’è una vera emergenza, offre la possibilità di lavorare in modalità innovativa solo a una percentuale risibile dei propri dipendenti”.

Insomma, come spesso capita, è proprio quando si è in situazione di crisi che ci si accorge che il re è nudo.