Prima settimana di didattica da lontano, lontano dalla scuola e dagli studenti, lontano da Tor Bella Monaca e da via dell’Archeologia, nel cuore di quella periferia di Roma dove neanche in questi giorni di clausura sembrano perdersi le cattive abitudini, come racconta la cronanca di un inseguimento finito in una sparatoria per fortuna senza vittime, e come conferma in chat una collega passata di lì a recuperare dei libri, osservando i soliti noti appostati nei soliti luoghi, con l’unica differenza che ora indossano anche loro la mascherina, utile non tanto per respingere l’infezione nel contatto con i clienti, ma a nascondere ancor meglio il proprio volto.

In un contesto come questo, va da sé che la presenza e l’attività di una scuola assume un valore profondo, e la sua chiusura un disagio evidente per le tante famiglie che qui vivono cercando di costruire per i propri figli un altro futuro, un futuro diverso. Un futuro migliore. In questa settimana, nel mio ruolo di insegnante di materie letterarie della secondaria di primo grado, e di coordinatore di classe, prima di ogni cosa ho provato a mantenere viva la presenza, poi a organizzare una forma di didattica che oltre tener conto delle indicazioni emanate in circolare dal dirigente scolastico e dal Ministero, sapesse fare di neccessità virtù, cogliendo l’occasione per creare un rapporto virtuoso tra docenti, studenti, famiglie.

Una bella novità è per esempio l’appuntamento del mattino al telefono con una delle due rappresentanti dei genitori, la mamma di una tra le più brave della classe che è anche punto di riferimento insostituibile dell’intero gruppo-classe, per la sua disponibilità e suoi sorrisi, le sue parole e i suoi silenzi. La telefonata del mattino ci aiuta a fare il punto della giornata, a capire come procede il lavoro, se c’è bisogno di aggiungere qualche notazione sul registro elettronico, o di comunicare qualcosa ai professori delle altre materie. Fatto questo, mamma e figlia aggiornano le rispettive chat, e il prof quella dei prof, spesso intasata da troppi messaggi, e alla quale per questo può essere preferito l’ormai antico sms personale, così da raggiungere più rapidamente il collega per una eventuale specifica comunicazione.

Per quanto riguarda i contenuti, a parte il programma classico di storia e geografia, ripartito da un ripasso degli ultimi argomenti trattati con l’aggiunta di brevi riassunti riepilogativi, in modo da esercitare il fondamentale esercizio della scrittura, in italiano la traccia di un elaborato riguardante il momento che stiamo vivendo appare scontato, così come scontato il riferimento all’introduzione delDecameron di Giovanni Boccaccio, e al capitolo XXXI de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, prontamente linkati nel materiale didattico del registro elettronico. Eppure così scontato non è, almeno per un paio di motivi.

Il primo riguarda proprio i riferimenti letterari, che già prima della chiusura delle aule avevano offerto lo spunto per lo studio di due autori appartenenti alla storia della letteratura e della lingua italiana, parlando di struttura narrativa, di come si costruisce un’opera in prosa e si sviluppa la forma del romanzo. Potrà sembrare eccessivo, difficile e complicato per studenti e studentesse di dodici anni, ma non è così. Sapere come e perché veniva raccontata la peste ha catturato la loro attenzione, ha permesso un confronto tra il passato e il nostro più stretto presente, ma anche sollecitato la loro curiosità sul modo in cui una lingua, un linguaggio, qualsiasi linguaggio, possa avere origine e trasformarsi nel tempo. La didattica a distanza, con l’invio online delle pagine in questione, ci ha consentito di concludere un ragionamento iniziato in classe.

E poi c’è la scrittura, la scrittura in sé, la scrittura utilizzata come strumento terapeutico, per far esprimere le sensazioni di queste ore anomale e inattese, sperando di attutire la paura e quel senso di smarrimento che proviamo tutti noi. Gli elaborati stanno arrivando, forse più di quanto poteva prevedersi; e la mail personale, messa a disposizione anche per chi non riesce ancora ad accedere al registro elettronico, regala ora dopo ora delle belle sorprese, comprese le parole di ringraziamento, in qualche caso in forma di piccolo sfogo, da parte delle famiglie dei nostri alunni e alunne.

Che poi la scuola, la scuola quella vera, fatta di quotidiano contatto, manchi molto; che manchino i loro volti, i loro sguardi, le loro frenesie, le loro ricche diversità, la loro complessità determinata dall’età, e dal luogo in cui sono costretti a crescere, credo sia superfluo da aggiungere: non si sceglie questo lavoro per caso, né una scuola come la nostra. Non c’era bisogno di una pandemia per averne coscienza.