L’economia toscana tiene, il portafogli dei cittadini e dei lavoratori no. È quanto racconta l’ultimo focus Ires, il centro studi della Cgil Toscana, intitolato “L’economia tiene? Per chi?”. L’andamento della congiuntura economica della Toscana (nel 2023 la ripresa rallenta) sembra mostrare una significativa divaricazione tra l’evidenza, positiva, di alcuni indicatori del ciclo economico e l’evidenza, negativa, del vissuto di un numero sempre crescente di cittadini e cittadine toscane. Il focus (realizzato dai ricercatori Roberto Errico e Marco Batazzi) mette in evidenza tre dati: l’inflazione che erode i salari; il rischio ridimensionamento del Pnrr che produrrebbe effetti pesantissimi su economia e occupazione regionale (un punto di Pil e 20mila posti di lavoro); la ripresa occupazionale che è precaria (vanno in pensione i tempi indeterminati, vengono assunti i precari). Sul fronte salari, si rileva come aumenti il monte salari ma – per via dell’inflazione – pro capite si perda il 7% ne 2022 e il 3% nel 2023 (in due anni perdita dunque del 10% del salario reale).

Quanto al Pnrr, intanto un po’ di numeri: 6,3 miliardi di euro come totale delle risorse impegnate in Toscana (4,6 miliardi di euro di risorse solo Pnrr più 1,7 miliardi di euro di risorse aggiuntive); 6.990 progetti avviati o in via di avviamento; 5,6% di risorse disponibili in percentuale del Pil. Allo stato attuale, continua a sussistere un problema a livello nazionale sull’attuazione complessiva del Pnrr. Gli investimenti sono solo al 31,5% di messa a terra effettiva; entro fine settembre l’Italia dovrebbe raggiungere il 49,4%. Si è quindi ben lontani da questo step, i ritardi riguardano in particolare i progetti infrastrutturali più grandi e quelli a carico dei comuni più piccoli, dove anche in Toscana si registrano ritardi. Il rischio è la perdita di parte del plafond a disposizione. La non attuazione completa del Pnrr avrebbe un impatto molto forte in regione, pari ad almeno un punto di Pil, con conseguenze pesanti sulle aziende, in particolare del comparto delle costruzioni. Una esecuzione per ipotesi limitata al 75% del Piano di ripresa e resilienza in Regione, metterebbe a rischio non meno di 20mila posti di lavoro nel biennio 2024-2025.

Capitolo occupazione: nel 2022 solo il 29% dei nuovi assunti era a tempo indeterminato; il saldo dei tempi indeterminati (tra chi va in pensione o è licenziato e chi è assunto) in Toscana negli ultimi due anni è meno 55mila, mentre il saldo dei contratti precari è + 127mila.

Il commento della Cgil e dell'Ires

“Nel 2022 abbiamo resistito - ha detto Rossano Rossi, segretario generale Cgil Toscana -, nel 2023 lo scenario ha tinte più cupe. In Toscana uno dei settori in difficoltà è il manifatturiero: Gkn a Firenze, Sanac a Massa, Whirlpool a Siena, Venator a Grosseto, Jsw a Piombino, Fimer ad Arezzo, tutte grandi aziende in difficoltà. Occorre un ruolo maggiore del pubblico in economia, ma non elargendo soldi a pioggia senza rendiconti, servono vincoli più stringenti, legati alla qualità dell’occupazione, per le aziende che ricevono soldi pubblici. Non è pensabile una Toscana basata solo su servizi, commercio e turismo, ci vuole sostegno al manifatturiero con politiche industriali e con infrastrutture più efficienti, altrimenti si rischia di perdere aziende. Va smontata la propaganda secondo cui va tutto bene: siamo preoccupati, posti di lavoro precari, stipendi bassi, giovani sfruttati, e se non accettano certi lavori con condizioni pietose fanno bene. Si registrano gli effetti delle politiche della destra al governo, con un attacco organico e su vasto fronte alle condizioni di vita e di lavoro di donne e uomini. Per questo abbiamo in campo un percorso di mobilitazioni: siamo scesi in piazza in queste settimane per ambiente, pace, diritti civili, sanità e sicurezza sul lavoro, il 30 settembre saremo a Roma per difendere la Costituzione e contrastare il progetto di autonomia differenziata, non si escludono scioperi e manifestazioni se continueranno a non arrivare risposte perché cittadini e lavoratori soffrono”.

Per Gianfranco Francese, presidente Ires Toscana, “c’è lo stridente ossimoro rappresentato dalla realtà raccontata dalle principali istituzioni economiche e finanziarie internazionali e la realtà evidenziata dal peggioramento delle condizioni materiali di vita di moltitudini di persone nel mondo, compreso il nostro Paese e la nostra regione. La Toscana ha le sue perduranti contraddizioni fatte di sempre maggiori ombre rispetto alle luci che persistono pur in un quadro di affievolimento della luminosità. Pur registrando, a saldo del 2022, qualche decimale in più in termini di crescita rispetto alla media nazionale, la Toscana vede però continuare la discesa dell’export rispetto all’import e la conferma di un numero molto significativo di persone ‘full time equivalent’ rispetto alle ore di cassa integrazione richieste dal sistema delle imprese. Allo stesso tempo si conferma una tendenza che vede nel lavoro a tempo indeterminato, anche qui pur in presenza di un saldo positivo nel 2022, una tipologia sempre più residuale negli avviamenti al lavoro in Toscana. I consumi delle famiglie sostengono la domanda interna ma in un quadro di erosione del risparmio accumulato, e gli investimenti pubblici e privati si alimentano solo intorno alla realizzazione dei progetti del Pnrr, il cui eventuale ridimensionamento produrrebbe effetti pesantissimi sull’economia e sull'occupazione regionale. Una congiuntura che alimenta previsioni di crescita regionale nel 2023 nell’ordine di pochi decimali, comunque inferiore al 2022”.

Il governo colpisce le tasche dei lavoratori

Gli effetti della pandemia, la guerra, la Banca Centrale Europea che ha pensato bene di riavviare una politica di stretta monetaria, la quale ha depresso fortemente i consumi e gli investimenti, non riuscendo a scalfire minimamente l’impennata inflazionistica determinata non da un aumento dei prezzi da eccesso di domanda, bensì dagli extraprofitti generati dalle bollette energetiche. Ma oltre al quadro internazionale si registrano anche gli effetti delle politiche della destra al governo, con un attacco organico e su vasto fronte alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di donne e uomini che nel nostro Paese vedono messi fortemente in discussione i loro diritti col ribaltamento dei criteri di progressività fiscale previsti dal dettato costituzionale con la riproposizione della flat tax, con la ulteriore precarizzazione del lavoro (a partire dai voucher) che si produrrà con l’entrata in vigore del Decreto Meloni, col mancato rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro per milioni di lavoratori e lavoratrici, con il no al “salario minimo legale”, con l’abrogazione del reddito di cittadinanza (nel 2022 hanno beneficiato di almeno una mensilità 47 mila nuclei familiari toscani, il 2,9% del totale, dato nettamente inferiore alla media nazionale del 6% come del resto risulta per la popolazione coinvolta, circa 98mila e 400 residenti, il 2,7% sulla popolazione residente, rispetto al 5,9% del dato nazionale. I dati parziali di marzo 2023 mostrano una quota della popolazione dell’1,6%, rappresentando sempre un dato inferiore alla media nazionale che è sul 4,2%), con rivalutazione delle pensioni per fare cassa, col definanziamento della sanità pubblica e più in generale dei servizi pubblici, in un contesto caratterizzato dalla volontà di approvare il Disegno di Legge sull’Autonomia Differenziata che non farebbe altro che acuire le differenze tra le regioni.

I giovani, la desertificazione bancaria

In Toscana i giovani tra i 15 e i 34 anni sono 690mila. Il 51,1% sono occupati, il 6,5% in cerca di occupazione, il 32% impegnati in studi o formazione. Il 18,7% sono Neet (non studiano né lavorano), dato ben sotto la media italiana e soprattutto di quella del Sud Italia. I Neet toscani non è che non hanno voglia di lavorare come qualcuno vorrebbe dipingerli, sembrano più che altro scoraggiati e quindi è dovere della politica costruire politiche del lavoro più efficaci. Oltre a questo dato, il focus Ires mette una luce anche sulla questione della desertificazione bancaria: tra 2008 e 2022 in Toscana sono scomparsi quasi mille sportelli, con una riduzione pari a circa il 40%. Nel 2008 ogni sportello serviva 1.443 residenti nella Regione: a distanza di 15 anni, il dato è schizzato a oltre 2.300 residenti medi per sportello attivo. Negli ultimi cinque anni la Toscana ha perso in percentuale più del doppio degli addetti del resto d’Italia (-17% contro -8%). Si tratta di 3.600 addetti in meno di cui circa due mila solo nel corso del 2022. Le continue cessazioni di sportelli bancari tendono ad alzare in modo significativo il tasso di chiusura delle relazioni con la clientela imprese; inoltre, sempre lo stesso studio sottolinea come la chiusura di una filiale determina un aumento dello spread creditizio tra imprese più grandi e più piccole. In sostanza, un percorso di riduzione della presenza bancaria sul territorio regionale, operato a partire da una mera ottica efficientista/mercatista, tende in primo luogo alla marginalizzazione delle cosiddette aree interne. Si tratta, per la Toscana, di 200 comuni, pari al 69% delle entità comunali e al 30% circa della popolazione, ovvero circa 1 milione e 100 mila abitanti. Inoltre, e in linea più generale, la rarefazione dei servizi bancari colpisce in modo particolarmente evidente la popolazione più anziana, ovvero quella meno abituata a utilizzare i servizi digitali delle banche. Tale tipologia di cittadini, in termini relativi più concentrata nelle aree interne, risulta così ulteriormente penalizzata visto anche la scarsità di collegamenti pubblici per raggiungere i comuni vicini laddove è presente uno sportello bancario. Infine, la rarefazione dei servizi bancari determina una serie di problematiche per le imprese più piccole, le quali sono per definizione territorialmente localizzate e molto legate al ciclo del credito bancario classico.