Il lavoro a Torino ha la data di scadenza. Otto lavoratori su dieci sono precari. Appena il 37%, praticamente solo un lavoratore su tre, ha un contratto a tempo indeterminato o un contratto a tempo determinato che duri più di sei mesi. E circa un contratto su tre è part time.

Eccola Torino, una città in equilibrio precario. Che si impoverisce, svalutando il lavoro, e invecchia sempre di più. Per ogni giovane ci sono 2,5 anziani. Una tendenza che dura da anni e che tra il 2012 e il 2022 ha visto diminuire il numero dei residenti di 53mila unità.

Torino è una città silenziosa, con la grande fabbrica che procede a singhiozzo e si spegne lentamente, rallentata da 17 anni di cassa integrazione. Le sirene del cambio turno alla Fiat, che dettavano i tempi a un’intera città, si sono attutite durante la parentesi FCA e adesso, con Stellantis, rischiano di non suonare più. Lo hanno capito gli operai di Mirafiori che sono tornati a protestare con scioperi e cortei spontanei, dopo che l’ad Tavares ha usato lo stabilimento simbolo della storia industriale del Paese per ricattare il governo: “Senza incentivi Mirafiori a rischio”, le parole del manager potenti quanto una scossa di terremoto sociale. 

“In realtà il processo di deindustrializzazione della città va avanti da tempo – ci ha detto la segretaria della Camera del Lavoro Metropolitana, Gabriella Semeraro –. La compensazione naturale ha portato in città la crescita di altri settori, in primis commercio e turismo, dove è massiccia la presenza di lavoro precario e di lavoro povero. Torino invecchierà sempre di più e avrà sempre meno giovani, perché i giovani che vogliono costruirsi un futuro abbandonano una realtà come questa dove il lavoro è precario e povero”.

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Da questo punto di vista la Cgil del territorio si batte da tempo per strutturare una reazione adeguata a questo fenomeno. Il 23 febbraio, venerdì prossimo, ha organizzato un’iniziativa importante dal titolo-manifesto “L’industria non è finita” che ha l’obiettivo di aprire una discussione con tutti gli attori istituzionali, a partire dal sindaco, Stefano Lo Russo, nella quale interverranno i segretari del Piemonte, Giorgio Airaudo, e delle categorie nazionali industriali e degli edili. “Secondo noi l’industria in questa città non è affatto finita. La comunicazione che Tavares ha rilasciato a inizio febbraio è stata un duro colpo, ma se tutti i settori si uniscono per immaginare un nuovo modello industriale che intercetti la transizione nella quale ci troviamo e immagini una giusta transizione, c’è un futuro possibile. In questi giorni ci sono stati gli scioperi spontanei per rispondere alle parole su Mirafiori. E dobbiamo ricordare che il destino di quello stabilimento si porta dietro anche tutto l’indotto. Il problema potenzialmente è enorme. Per questo non ci arrendiamo e immaginiamo un territorio nel quale ci sia ancora una produzione alta e di qualità legata all’automotive e all’elettrico”.

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Prove di futuro in una città che soffre questo presente incattivito. Torino cambia, è sempre più povera e più sola. Le cronache raccontano la sua involuzione attraverso le risposte miopi ed elettorali di una destra regionale che inquina ogni giorno il dibattito. Nascono così episodi rivelatori come quello della stanza dell’ascolto all’Ospedale Sant’Anna che prova a rendere sempre più marginale l’esercizio del diritto all’aborto. “Proprio in queste ultime ore un consigliere leghista ha proposto l’utilizzo del trattamento sanitario obbligatorio nei casi, sempre più frequenti, di abuso di alcol tra i giovani. Cancellati con un colpo di spugna dalla nostra memoria gli effetti nefasti che anni di isolamento dovuto alla pandemia ha avuto sui nostri ragazzi, il consigliere, con un deciso ritorno al passato, risponde a un malessere sociale con uno strumento prettamente sanitario”. Al disagio collettivo si contrappone l’eterno presente di una campagna elettorale che parla alla pancia della gente mettendo in campo soluzioni semplici per problemi in realtà molto complessi.

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“Il tessuto sociale si impoverisce, ha poche sicurezze. Le persone, diventando sempre più povere, si sentono e sono di fatto sempre più sole. Invertire la rotta significa pensare e varare politiche sociali adeguate, percorsi di prevenzione per le giovani generazioni, investimenti di risorse sulla sanità e soprattutto sulla creazione di una sanità territoriale. E invece a Torino in alcune Asl chiudono centri di salute mentale e la sanità qui, come altrove, è tra l’incudine e il martello, tra la mancanza di personale dovuta alle decisioni del governo nazionale e il piano di rientro del Piemonte che dal 2010 al 2017 ha provocato un grande arretramento sul territorio. Ora ci sarebbe la missione 6 del Pnrr, quella dedicata alla sanità, ci sarebbe la possibilità di investire, ma ci vorrebbe una visione di insieme, una seria programmazione, cosa che manca in Piemonte, dove si va avanti solo a interventi spot”.

Un quadro complesso, in cui tutto, dall’economia alla produzione industriale allo stato dei servizi pubblici si mischia e diventa veleno. Cosa può fare il sindacato? “Lottare su due fronti – ci dice Gabriella Semeraro –. Da un lato, giorno per giorno, costruendo iniziative e legami, informando e assistendo i cittadini. Dall’altro, sui grandi temi, sul pensiero lungo, a partire da industria e sanità, cercando, attraverso il dialogo con gli altri attori sociali e istituzionali, di costruire un percorso di rinascita, di crescita, di risposta al disagio. Tenendo presente che sviluppi futuri come quello dell’autonomia differenziata non portano benefici”.

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