La situazione è preoccupante. Per lavoratrici e lavoratori di Carrefour e per i sindacati che stanno lavorando per ridurne l’impatto sui redditi. Il colosso della grande distribuzione ha infatti avviato la procedura di cassa integrazione straordinaria per il 20% delle ore lavorate a circa mille dipendenti di sei ipermercati di Torino e dell’area metropolitana: Burolo, Collegno, Grugliasco, Moncalieri Rossi, Nichelino e Torino Montecucco.

“Sono i sei punti vendita con le metrature più grandi – ci spiega Germana Canali, segretaria della Filcams Cgil provinciale, impegnata in queste ore negli incontri con il management –. Sono quelli più anziani, con un alto numero di dipendenti e un’età media avanzata. Il motivo di questa decisione è da ascriversi al calo delle vendite che solo per effetto dell’inflazione non si è tradotto in un calo forte del fatturato. La forza lavoro colpita dal provvedimento è molto preoccupata e arrabbiata. Si tratta di tantissime donne a part-time, spesso involontario, con situazioni familiari difficili, divorziate con figli a carico. Con stipendi già bassi che subirebbero un colpo duro dalla cassa integrazione. Per questo il primo obiettivo che ci siamo prefissati come sindacati è quello di integrare al 100% la riduzione di stipendio. Da qui passerà l’eventuale accordo sindacale”.

“Da tempo l’organizzazione del lavoro e lo stato manutentivo di questi punti vendita suggeriscono un atteggiamento di dismissione più che di investimento: questa azienda sembra stia cambiando pelle. I piccoli negozi li sta dando sempre più in franchising, nei grandi punti vendita pochi investimenti, poca attenzione alla manutenzione, poche politiche di rilancio sui prezzi e sull’offerta e continua riduzione di personale. Ci sono stati anche alcuni infortuni sul lavoro gravi, per fortuna non mortali. I lavoratori sono arrabbiati, non vorrebbero pagare questa politica aziendale”.

"Parliamo di lavoratrici e lavoratori – ci ricorda Germana Canali – che hanno il contratto nazionale scaduto dal 2019 e quindi stanno già pagando in prima persona tutti gli effetti dell’inflazione. E vivono in un’area già depressa dalla crisi dell’automotive. Aggiungere altre mille persone con uno stipendio ulteriormente ridotto dalla cassa integrazione diventa anche un problema di ordine sociale”.