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In che modo il Servizio Sanitario Nazionale, i servizi del welfare e le pubbliche autorità, stanno utilizzando il potenziale enorme di queste nuove tecnologie nell’emergenza che stiamo vivendo? Nei vari campi possibili: per il monitoraggio epidemiologico, la prevenzione, la sicurezza nel lavoro, le prestazioni di assistenza, di cura, di aiuto, anche a distanza, delle persone. Queste nuove tecnologie, e le innovazioni organizzative che ne derivano, potevano e possono fare la differenza ma l’impressione è che non siano state utilizzate adeguatamente, anzi. È ben nota la disomogeneità geografica dell’innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione, quanto siano ancora scarsi per il Ssn gli investimenti e deboli le misure operative che avrebbero dovuto accompagnare il passaggio ad un modello di sanità digitale. Nonostante ripetuti annunci, da parte di governo e Regioni, e la firma addirittura di un Patto per la sanità digitale (giugno 2016) ancora poco si è fatto a livello nazionale.
Qualcosa si è mosso in qualche regione, ma la frammentarietà e, spesso, la mancata “interoperabilità” (cioè sistemi informativi che non possono dialogare tra loro, scambiarsi i dati, interagire) delle innovazioni adottate non hanno consentito di fare “sistema”, nemmeno nell’emergenza. Ciò che deve far riflettere, per agire di conseguenza, è il potenziale di lavoro che la sanità digitale potrebbe svolgere proprio in quei settori delle cure e dell’assistenza socio sanitaria rivolti alle persone più esposte ai rischi e danni del Covid: persone con malattie croniche, anziane, con sofferenza mentale, disabili. Si tratta di prestazioni essenziali che l’Oms ha raccomandato di assicurare in parallelo alle misure straordinarie dirette a contrastare la diffusione del contagio (lockdown, potenziamento in ospedale delle rianimazioni e dei reparti di pneumologia e malattie infettive, fornitura dei Dpi, ecc.).
È infatti evidente che in questa emergenza un punto debole del Ssn è stata la sanità territoriale, sovraccaricando così gli stessi ospedali, con tutte le conseguenze che abbiamo vissuto. Ed esponendo a rischi, almeno in parte evitabili, i lavoratori (dai medici di medicina generale agli operatori dell’assistenza domiciliare) e i cittadini da assistere. Una delle leve da usare per dare più forza alla rete dei servizi socio sanitari territoriali (per avere un vero secondo pilastro del Ssn accanto agli ospedali) è certamente l’innovazione digitale. Le applicazioni pratiche sono tante: la strutturazione di una rete di telemedicina e teleassistenza territoriale, utile per monitorare i malati cronici, o quelli domiciliati dopo le dimissioni dall’ ospedale permetterebbe oggi di continuare a tenere sotto controllo i pazienti con una sanità di iniziativa (diabetici, cardiopatici, anziani, ecc.). Ma anche, in questa emergenza, possono ad esempio permettere di monitorare i soggetti più fragili dinanzi alla diffusione del virus.
L’Organizzazione mondiale della sanità di nuovo nel 2019 raccomandava l’utilizzo della sanità digitale in alcuni ambiti (vedi Linee Guida OMS). Tra questi: il rafforzamento della telemedicina, il consolidamento di una fluida e costante comunicazione con i pazienti, un supporto alle decisioni degli operatori sanitari. Peraltro gli obbiettivi di potenziamento dell’assistenza territoriale e domiciliare sono di certo legati anche alla evoluzione delle soluzioni di presa in carico “a distanza”, quindi fondate sull’uso di tecnologie digitali. Le innovazioni nelle tecnologie Ict ad esempio, permettono di erogare servizi di assistenza sanitaria, e di aiuto sociale in modo delocalizzato. Sia con l’utilizzo di apparecchiature diagnostiche miniaturizzate facilmente trasportate o installate presso il domicilio dei pazienti, che con visite e consulti online (Skype, etc.). Anche in tempi normali una adeguata diffusione di queste semplici tecnologie consentirebbe una più facile deospedalizzazione, minori spostamenti dei pazienti, e un minor numero di visite alle strutture sanitarie o ai medici di base.
I vantaggi sono evidenti. In particolare per le cronicità e dunque per la possibilità di monitorare seguire i pazienti presso il loro domicilio. In alcune realtà italiane, ad esempio dove si è adottato il Chronic Care Model e la sanità d’iniziativa questi vantaggi si toccano con mano. E lo stesso Piano nazionale per le cronicità indica questo modello, ma non se ne traggono le conseguenze operative. Anche a livello internazionale i programmi di Remote Care Management utilizzano le tecnologie della telemedicina, diminuendo i costi a carico della struttura sanitaria pubblica e coinvolgendo il cittadino nel processo di auto monitoraggio (Pattaro 2020). Ciò avviene con diverse modalità (vedi la classificazione Siegel in Mastrobuono 2019): il tele monitoraggio, la tele formazione dei pazienti, il tele consulto che permette al sanitario di interagire con il paziente, e la tele assistenza vera e propria.
Ovviamente l’impatto di simili innovazioni su chi lavora nei servizi è impressionante e occorre uno straordinario intervento per la formazione degli operatori. E regole più forti e contrattazione sindacale per assicurare diritti e partecipazione dei lavoratori. Proprio l’emergenza di oggi è l’occasione per accelerare questi processi di innovazione. Il progetto eHealth, il suo aggiornamento e la sua effettiva attuazione, è una priorità assoluta. Bisogna innanzitutto completare, adeguare e attuare la strumentazione normativa, servono investimenti adeguati e il superamento dei deficit di interoperabilità che impedisce di attuare le soluzioni proposte e che mantiene le frammentazioni tra i diverse sistemi regionali.
A disposizione abbiamo il Patto per la sanità digitale, e le Linee di indirizzo nazionale per la Telemedicina di Stato Regioni in materia di telemedicina, elaborati nel 2014/2015 e l’emanazione di indirizzi normativi che riguardano l’assetto organizzativo o tecnologico della telemedicina, le indicazioni del Patto della salute 2014/2016 e del il Patto per la salute 2019/2021. Serve aggiornarli e procedere con misure operative per attuarli. Si pensi ad esempio all’attuazione del progetto del Fascicolo Sanitario Elettronico FSE adottato nel 2015 e, ad oggi, è diffuso in sole 12 regioni. La sua stessa struttura andrebbe forse ripensata e il fascicolo stesso da sanitario dovrebbe divenire socio sanitario. Anche le Cartelle Cliniche Elettroniche condivisa dai medici di base e degli specialisti di ambulatorio e dalle strutture ospedaliere, aggiornate con i dati forniti sui pazienti dimessi dagli ospedali e dall’home care in questa fase emergenziale, possono costituire un valido supporto al monitoraggio anche dei pazienti Covid positivi.
Molto interessante il documento della società italiana di diabetologia, medici diabetologi e società italiana endocrinologia che fornisce indicazioni per descrive e programmare le attività necessarie per le visite di controllo tramite telemedicina, uniformandone la procedura per le altre strutture diabetologiche nazionali. Vi sono anche iniziative localizzate, la cui appropriatezza naturalmente va valutata dalle autorità sanitarie competenti, come l’app SMARTYS-COVID 19 promossa dal Cise, azienda speciale della Camera di Commercio della Romagna, finalizzate a monitorare i pazienti Covid, o persone genericamente a rischio, presso la propria abitazione. Anche in tema di Intelligenza Artificiale (Ai) per il comparto sanitario, mentre è stata recentemente costituita una task force europea lanciata da Aixia e nata per stimolare la collaborazione tra laboratori ricercatori e scienziati, si aspettano le risultanze del gruppo di lavoro dedicato “ di metodi innovativi e modelli statistici per lo studio dell’emergenza Covid-19 sulla base di dati provenienti da web” (sistemi AI based) (MID 2020)
Come si vede c’è un lavoro urgente e imponente da svolgere, i cui effetti possono essere un formidabile sostegno al Ssn, per favorire, velocizzare e semplificare l’accesso a servizi e a prestazioni, “sostenendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali innovativi incentrati sul cittadino e facilitando l’accesso alle prestazioni ...” (Patto Stato Regioni per la Salute Digitale). Ma si pensi anche a cosa potrebbe produrre lo sviluppo della domotica, dei dispositivi e dei servizi e-Care rivolti alle persone non autosufficienti o nell’assistenza anche ospedaliera di malati Covid meno gravi. Del resto la stessa ricerca sul Covid passa per l’utilizzo delle più avanzate tecnologie: Cineca, il Consorzio delle Università italiane, tramite il super computer Marconi “sta simulando il comportamento delle proteine che consentono al virus di replicarsi per poter testare virtualmente le molecole efficaci ad inibirlo” (Cineca 2020). Dunque servono dati ed algoritmi. E serve un cloud service intelligente, sicuro, pubblico.
È urgente e necessario che ministero della Salute, ministero dell’Innovazione e Conferenza delle Regioni decidano come attuare e accelerare il programma di transizione digitale della sanità italiana e del sistema socio assistenziale, andando oltre il terreno più esplorato, quello dell’assistenza ospedaliera, con una visione che preveda un welfare di comunità e sia orientato alla persona. Ne va della sostenibilità del nostro welfare, della sua efficacia nel garantire diritti e della futuro sviluppo del nostro Paese.
Stefano Cecconi è responsabile sanità CGIL nazionale e direttore RPS La Rivista Politiche Sociali
Cinzia Maiolini è responsabile Ufficio Lavoro 4.0 Cgil nazionale