PHOTO
22 aprile, giornata della salute della donna. Parlare di donne e salute significa affrontare i temi della salute delle bambine, delle adolescenti, delle ragazze, delle donne adulte e anziane. Significa pensare alle donne nelle diverse fasi della vita, con diverse condizioni e bisogni (di salute, di cura, di assistenza) e svariate tipologie di rischio, da prevenire prima di tutto.
Uomini e donne non si ammalano nello stesso modo e delle differenze nella diagnosi delle malattie e nelle cure, nella somministrazione dei farmaci occorre tenerne conto. Ancora oggi, però, la ricerca in campo medico e la pratica quotidiana scontano ritardi legati al genere a partire dalla salute e sicurezza sul lavoro, dove si registra spesso l’inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale in dotazione alle lavoratrici.
Quando si parla di salute delle donne, una particolare attenzione deve essere dedicata alla salute riproduttiva come agli anni della menopausa, agli screening da garantire a tutte, alla maternità e al parto, alla libertà di decidere di interrompere la gravidanza.
Sono passati 45 anni dalla Legge 194 ma ancora la sua piena attuazione è un percorso a ostacoli con ancora troppe le criticità a partire dall’elevato numero di medici obiettori che in Italia rappresentano il 64% dei ginecologi ospedalieri e il 30% dei ginecologi nei consultori, con troppe strutture nelle quali si arriva all’obiezione di struttura.
Così come è ancora difficile poter ricorrere all’aborto farmacologico, possibile nel 45% delle Ivg ma con forti differenze tra le regioni: si passa dal 73% della Liguria o il 65% dell’Emilia-Romagna, al 20% delle Marche. Di questo dovrebbero preoccuparsi governo e forze politiche anziché perseverare in antistoriche battaglie ideologiche contro l’aborto e contro le donne.
Mentre in Francia il diritto alla libertà di interrompere volontariamente la gravidanza è stato inserito nella Costituzione, e il Parlamento europeo ha votato per il riconoscimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Italia si è votato un emendamento per favorire la presenza di antiabortisti nei consultori. Peccato che lo stesso zelo non si vede per migliorare la condizione dei consultori, troppo pochi, in cronico sottofinanziamento e svuotati di personale.
La legge prevede un consultorio ogni 20 mila abitanti (10 mila nelle aree interne e rurali) ma la realtà è di un consultorio ogni 32 mila abitanti, come risulta dall’ultima relazione dell’Istituto Superiore di Sanità (che risale a 6 anni fa, e anche questo è sintomatico del totale disinteresse alla questione): ci sono 1.871 consultori pubblici ma dovrebbero essere almeno 3.000, ovvero il 60% in più.
Enormi i problemi per garantirne l’operatività per la mancanza delle necessarie figure professionali a partire da ginecologi (tanto che in molti consultori non è possibile avere la certificazione per l’Ivg), ostetriche, psicologi, assistenti sociali, mancanza delle equipe multidisciplinari, per non parlare degli assistenti sanitari, mediatori culturali, personale amministrativo.
Le ore medie settimanali di lavoro per ciascuna figura professionale necessaria per rispondere al mandato istituzionale dei consultori dovrebbero essere: 18 ore per i ginecologi, 36 per le ostetriche, 18 per gli psicologi e 36 per gli assistenti sociali, ma non vengono garantite se non in rare eccezioni. Solo per rispettare i criteri normativi e le attività standard occorrerebbe il 140% in più di ginecologi, il 130% in più di ostetriche, il 70% in più di psicologi, il 300% in più di assistenti sociali.
Se il governo tiene davvero ai consultori, si preoccupi di farli funzionare, di garantire risorse e personale pubblico: faccia funzionare le equipe multidisciplinari, faccia entrare ginecologi, ostetriche, psicologi, assistenti sociali, assistenti sanitari, mediatori culturali, personale amministrativo, anziché fanatici antiabortisti. I consultori sono stati una grande conquista, frutto di lunghi anni di battaglie dei movimenti femministi e la loro istituzione, nel 1975, ha anticipato le grandi riforme del 1978: la Legge 194 e la Legge 833 istitutiva del Servizi Sanitario Nazionale, pubblico e universale.
Ed è per questo che domani saremo di nuovo in piazza a Roma contro l’ennesima vergogna, anche agli occhi dell’Europa.
Non ci fermeremo e non ci accontenteremo di difendere la Legge 194/78, i consultori, il Sistema sanitario nazionale: vogliamo che quelle leggi e quei diritti, dalla libertà di scelta e l’autodeterminazione al diritto alla salute e a un Ssn, pubblico e universale, siano pienamente e concretamente garantiti.
Lara Ghiglione e Daniela Barbaresi sono segretarie confederali della Cgil