Li abbiamo visti arrivare e continuiamo a vederli. Il governo persegue inesorabilmente il suo intento di cambiare il senso comune e la narrazione del Paese. O della "nazione", come amano dire. E per farlo non c’è nulla di meglio che utilizzare, tentando di piegarla ai propri fini, la Rai. Dimenticandosi che quell’azienda deve, o meglio dovrebbe, garantire il servizio pubblico a cittadini e cittadine avendo come riferimento i principi e i valori costituzionali.

Prima una legge ad personam per cambiare la governance dell’azienda, poi una tornata di nomine di direttori di testate e reti, infine l’approvazione in consiglio di amministrazione di un contratto di servizio che a quel che si sa rischia di disperdere il patrimonio che la Rai ha costruito nel corso dei decenni, a cominciare dal giornalismo di inchiesta. E poi promozione della natalità, abbandono della promozione dell’inclusione sociale e dell’accoglienza, una rappresentazione dell’Italia che sembra tornare a vecchi stereotipi, a cominciare dal ruolo delle donne.

Il contratto di servizio

“Sta girando tra l'azienda e ministero del Made in Italy senza che ci sia ancora una fase di condivisione dei contenuti”. Lo dice Daniele Macheda, segretario dell’Usigrai, riferendosi al contratto di servizio, e aggiunge: “Rispetto a quello scaduto alla fine del 2022 mancano una serie di cose che ritengo siano fondamentali. Per esempio, non c'è l’impegno alla valorizzazione del giornalismo d'inchiesta”. Che ovviamente non significa confermare in palinsesto trasmissioni come Report o Presa Diretta ma appunto valorizzare quella che è una tradizione della Rai in tg, gr e trasmissioni specifiche. “Ma soprattutto – denuncia ancora Macheda - l'impressione è quella di un contratto di servizio piegato alla promozione del made in Italy, dalla dieta mediterranea al turismo. Insomma una sorta di vetrina, quasi che Rai fosse un soggetto del mercato”.

Le donne spariscono

Non risparmia critiche Silvia Garambois, presidente dell’Associazione GiULiA giornaliste: “Non si capisce la logica di quello che avviene alla Rai, se non un programmatico azzeramento del pensiero femminile”. I fatti sono ben noti, aggiunge Garambois: “Cancellate le direzioni dei tg generalisti in mano alle donne (checché ne dica l’art. 3 della Costituzione, il 'vecchio' contratto di servizio della Rai che pretende il riequilibrio delle presenze femminili, e in barba agli atti di indirizzo della Commissione interparlamentare di Vigilanza sulla Rai), quanto l’inedito affacciarsi nel 'nuovo' contratto di servizio della Rai di politiche tese 'a contribuire alla promozione della natalità e della genitorialità'. Che è come dire andare a mettere il naso nell’autonomia e nella privacy delle donne, nella loro programmazione di vita, nelle loro scelte. Ancora non ci sono campagne dirette contro l’aborto… Ma non ci sono neppure campagne di promozione per il lavoro femminile, per la salute delle donne, per la loro effettiva parità”, conclude Garambois. Il tutto voluto e promosso dal primo governo presieduto da una donna.

Chi ne paga le conseguenze

Lo scopo del contratto di servizio dovrebbe essere quello di tutelare gli interessi dei cittadini avendo come riferimento la Costituzione. Secondo Vittorio Di Trapani, presidente della Fnsi: “Cancellare alcuni impegni dal contratto di servizio non è un danno che viene fatto solo alla Rai o ai giornalisti Rai. È un danno che viene fatto ai cittadini. Quando si cancella l'obbligo di valorizzare la propria tradizione di giornalismo di inchiesta, di arreca un danno al diritto dei cittadini a essere informati attraverso quelle inchieste. Quando si cancella un impegno a una programmazione che valorizzi la coesione sociale e i valori dell'accoglienza, si fa danno ai cittadini e si mettono da parte i valori della Costituzione italiana”.

E non finisce qui

Rai non è solo informazione e fiction e film. Rai è stato per decenni uno dei motori dell’innovazione tecnologica del Paese. Il rischio che si corre è perdere questo enorme valore. Aggiunge Macheda: “Oltre a essere la radio, la TV, oggi il web, Rai è anche un centro di ricerca pubblico sulle telecomunicazioni. E allora su questo fronte io vedo che l’azienda avrebbe l'obbligo di investire e di dare anche il giusto risalto. Così non è. Così come dovrebbe valorizzare la più grande orchestra sinfonica del Paese che è appunto Rai. Questo è il made in Italy che dovremmo valorizzare”.

Lavoratori e lavoratrici

Berlinguer, Annunziata, Fazio: professionisti che hanno contribuito a far crescere l’azienda e che sono andati via. Cosa succederà ora? E soprattutto uomini e donne Rai, giornalisti e non solo, non sempre messi nelle condizioni di esprimere pienamente la propria professionalità. Per il segretario Usigrai: “La Rai ha al suo interno le risorse, le qualità, le capacità, certamente colleghe e colleghi in tutti gli ambiti in grado di assumersi il compito di valorizzare il prodotto dell'azienda. Ci aspettiamo che i vertici aziendali puntino sui professionisti interni e sulla capacità di far crescere le professionalità interne con le proprie capacità ideative e produttive. Se invece una strada è quella di provare a prendere nomi di qua e di là per cercare di rimpiazzare le uscite, si rischia di impoverire l’azienda”.

Rai e non solo

Se guardiamo al panorama dell’informazione il rischio che si corre è che l’articolo 21 della Carta venga seriamente messo in discussione. E purtroppo non è l’unico. È ancora Macheda a parlare: “Difendere il giornalismo di inchiesta è aiutare i cittadini e le cittadine a essere informati”. E Di Trapani aggiunge: “L'attuale situazione mette fortemente in crisi il diritto del cittadino a essere informato. Questo è ciò che deriverebbe da un'eventuale riforma Nordio sulla pubblicabilità delle intercettazioni. Sarebbe un ulteriore passo in questa direzione rispetto ad altri provvedimenti che hanno già fortemente limitato il diritto di cronaca. Penso alla traduzione italiana della direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Così come penso all'assenza di una normativa contro le querele temerarie. A questo va aggiunta una situazione del mercato editoriale con sempre più lavoratrici e lavoratori precari e sottopagati, che quindi rischiano di essere fortemente ricattabili. Il rischio è che cali il buio sulla democrazia”.

Un monito importante

Lo sottolinea il segretario dell’Usigrai, non si dà azienda pubblica senza risorse pubbliche. Il canone non si tocca e sarebbe sbagliato toglierlo dalla bolletta: “La quota di canone che ciascuno paga è diminuita perché mettendolo in bolletta si è praticamente azzerata l’evasione. Paghiamo meno perché paghiamo tutti”.