“Io non so chi sia quella donna minuta seduta accanto a me, vestita tutta di nero, con gli occhi inondati di lacrime - raccontava don Luigi Ciotti in un'intervista dopo la strage di Capaci - Se ne sta lì composta ad ascoltare gli interventi delle personalità presenti, ma si vede che dentro è tutt’altro che immobile: qualcosa in lei freme, si dibatte per uscire. A un tratto, come per dare sfogo a quella vibrazione segreta, mi afferra una mano stringendola sempre più stretta. Infine il suo turbamento trova la strada della parola. La frase che mi dice sale strozzata dalla gola, combattendo per non sciogliere in singhiozzi il pianto sino a quel momento silenzioso: 'Perché non dicono il nome di mio figlio?'. 'Perché - ripete di nuovo - non dicono mai il suo nome?’”

È così che dal 1996, ogni anno, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano (il 1° marzo 2017, con voto unanime alla Camera dei Deputati, viene approvata la proposta di legge che istituisce e riconosce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”).

Il 21 marzo “è - scrive Libera - una giornata di arrivo e ripartenza per il nostro agire (…) Leggere i nomi delle vittime, scandirli con cura, è un modo per far rivivere quegli uomini e quelle donne, bambini e bambine, per non far morire le idee testimoniate, l’esempio di chi ha combattuto le mafie a viso aperto e non ha ceduto alle minacce e ai ricatti che gli imponevano di derogare dal proprio dovere professionale e civile, ma anche le vite di chi, suo malgrado, si è ritrovato nella traiettoria di una pallottola o vittima di potenti esplosivi diretti ad altri. Storie pulsanti di vita, di passioni, di sacrifici, di amore per il bene comune e di affermazione di diritti e di libertà negate”.

“Ricordiamo la morte delle vittime innocenti della violenza mafiosa per essere più vivi noi - affermava qualche tempo fa don Ciotti - per essere più protagonisti e fare in modo che sia una memoria viva che ogni giorno ci faccia assumere le nostre responsabilità e il nostro impegno. È questo il senso dei nostri percorsi. I nomi che (…) ricorderemo non devono essere scritti solo sulle lapidi, ma devono essere scritti nelle nostre coscienze. Dobbiamo essere più vivi noi, più attenti e responsabili per fare in modo che la memoria non sia celebrazione e retorica, ma sia una memoria viva, sia impegno e responsabilità di tutti i giorni”.

“Fare memoria - aggiungeva il don - è un dovere che sentiamo di dover rendere a quanti sono stati uccisi per mano delle mafie, un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta, ma prima ancora verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di uomini e donne che vivono il proprio tempo senza rassegnazione”.

Proprio il 21 marzo (del 1924) nasceva a Caltanissetta Emanuele Macaluso, antifascista, politico, giornalista, segretario generale della Cgil Sicilia dal 1947. Una vita, la sua, spesa nell’impegno politico e intellettuale. Per il lavoro, per la democrazia, contro la mafia.

“Sono diventato antifascista a sedici anni - ci raccontava - ho sfidato la mafia a viso aperto, sono stato in sanatorio e in carcere, sono stato membro della segreteria del Pci con Togliatti segretario, per quattro anni ho diviso la stanza a Botteghe Oscure con Enrico Berlinguer, sono stato direttore de l’Unità che allora vendeva centinaia di migliaia di copie. Dopo la strage di Portella della Ginestra, in un momento difficilissimo, a 23 anni diventai segretario regionale della Cgil. Avevo vent’anni, quando accompagnai Girolamo Li Causi a fare un comizio a Villalba. Don Calogero Vizzini, che era il capomafia, ci sparò addosso, Li Causi fu colpito al ginocchio da un colpo che lo rese claudicante per il resto della vita. Quel giorno io mi salvai per miracolo”.

“Non c’è paese in cui non abbia fatto un comizio - aggiungeva - una volta con Calogero Boccadutri, il capo del Pci clandestino a Caltanissetta, andammo a Riesi percorrendo cinquanta chilometri a piedi. Con trentasei sindacalisti uccisi, la lotta alla mafia allora non si faceva a chiacchiere”. LEGGI

Una lotta che, tutte e tutti insieme, continuiamo a combattere. Con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta.

Quest’anno la manifestazione nazionale si svolgerà a Napoli. Replicando la formula adottata negli ultimi anni a causa dell’emergenza, Napoli sarà la piazza principale, ma simultaneamente in centinaia di luoghi in Italia - e non solo - si leggeranno i nomi delle vittime, “nel segno di una memoria che non vuole essere celebrazioni ma strumento di verità e giustizia”.

Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi.
Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno.
Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è.
Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa.
Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza.
Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione.
Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.

Don Luigi Ciotti