Il sistema dei centri di permanenza per il rimpatrio è un completo fallimento: è inumano e costoso, inefficace e ingovernabile. Ma il governo italiano continua a spendere milioni di euro per mantenerli attivi. La bocciatura arriva dal report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” redatto dalla Ong ActionAid con il dipartimento di Scienze politiche dell’università di Bari, frutto di un’analisi dettagliata del funzionamento dei Cpr dal 2014 al 2021.

Un lavoro di ricostruzione di informazioni e dati, raccolti non senza difficoltà per via della scarsa trasparenza, a seguito di 51 richieste di accesso agli atti al ministero dell’Interno, prefetture e questure e di 30 richieste di riesame, e disponibili sulla piattaforma Trattenuti.

Più detenzione, meno rimpatri

“Dal 2017 in poi i diversi governi che si sono succeduti hanno deciso di investire nella detenzione amministrativa degli stranieri come politica di rimpatrio – spiega il coordinatore del progetto Cristiano Maugeri, di ActionAid -, con l’intento di istituire un Cpr in ogni regione, 20 in tutto. A oggi le strutture attive sono dieci, nove quelle realmente funzionanti. Ma mentre i tempi di detenzione sono diventati sempre più lunghi, da 30 giorni del 1998 a 18 mesi del 2023, i rimpatri hanno continuato a diminuire: dal 60 per cento del 2014 si è passati al 49 per cento del 2021”.

Costi esorbitanti

Un sistema inefficiente, oggetto in questi anni di denunce per gli abusi, le violenze, i diritti negati, che spesso si trasforma in un’estensione del carcere, dove si vive in condizioni di scarsa igiene e con pochi servizi: nove minuti di assistenza legale e sociale assicurati mediamente ogni settimana a ciascun trattenuto, 28 minuti di mediazione linguistica.

Tutto questo a fronte di una spesa complessiva tra il 2018 e il 2021 di 53 milioni di euro, di cui 15 per la manutenzione dei centri, nel 60 per cento dei casi necessari a riparare i danneggiamenti provocati dagli stessi ospiti. Atti di autolesionismo, rivolte e disordini provocati dalle condizioni di estremo disagio e di privazione dei diritti basilari delle persone rinchiuse senza aver commesso reati, porta a continue distruzioni, rendendo indisponibili gran parte dei posti.

BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI
BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI
BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI ()

Nel dettaglio, ogni struttura costa in media un milione e mezzo l’anno, un posto 21 mila euro. A questo va aggiunto che i centri sono gestiti da cooperative, soggetti profit, anche multinazionali nel più completo caos amministrativo e in una totale mancanza di trasparenza.

Un Cpr in ogni regione?

Nonostante la scarsa efficacia delle strutture e il costo esagerato, l’obiettivo di costruire un Cpr in ogni regione non è mai tramontato. Anzi, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi lo ha ribadito alla Camera qualche giorno fa, spiegando di aspettarsi che le risorse arrivino anche dall'Unione europea.

“Una relazione del Viminale del 2013 affermava che i costi di queste strutture non ne giustificavano il mantenimento – prosegue Maugeri -, ma si è continuato a investire dal 2017 a oggi in maniera costante, lo hanno fatto cinque governi per tre legislature. Aumentare i Cpr e innalzare la durata della permanenza non hanno portato a rimpatriare più migranti. Se tu tieni tante persone in cattività per più tempo, non ne rimpatri di più. Sono strutture di facciata che fanno immaginare quanto un governo prenda sul serio la questione delle migrazioni, ma non sono funzionali a una maggiore o più efficiente politica di rimpatrio”.

BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI
BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI
BRINDISI 1991 : SBARCO PROFUGHI ALBANESI FOTO DI © STEFANO CAROFEI/SINTESI ()

Un solo risultato

Con i Cpr è stato raggiunto un solo risultato evidente, denuncia il dossier di ActionAid: è lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, con il cui Stato abbiamo accordi bilaterali. Dal 2018 al 2021 hanno infatti rappresentato quasi il 50 per cento delle persone in ingresso e quasi il 70 per cento dei rimpatri. Eppure i migranti tunisini hanno rappresentato solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023.

“I rimpatri avvengono maniera coatta, in tempi brevi e con l’affitto di voli charter – conclude Maugeri -. Chi resta, nella maggior parte dei casi viene rilasciato per decorrenza dei termini, senza la possibilità di rimpatrio”.

L’analisi si conclude ponendo domande all’esecutivo: “Ci auguriamo che il parlamento voglia usare i dati messi a disposizione per esercitare il ruolo di indirizzo e controllo che gli è proprio, chiedendo al governo di chiarire il perché, fra le altre cose, si continua ad investire su un sistema fallimentare da ogni punto di vista”.

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