Il più piccolo ebreo deportato dall’Italia, figlio di Marcella Perugia, nasce al Collegio militare di Roma, in via della Lungara, il 17 ottobre 1943, all’indomani della razzia del ghetto. Un bambino (non si sa se maschietto o femminuccia) rimasto senza nome, morto sei giorni dopo ad Auschwitz. La sua mamma era stata arrestata il giorno prima, in quel terribile sabato nero del ghetto di Roma.

Il 16 ottobre del 1943 più di mille ebrei - tra questi oltre 200 tra bambine e bambini - vengono prelevati dalle loro case. Due giorni dopo partiranno dalla stazione Tiburtina per Auschwitz: solo 15 uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia.

“Ad essere arrestati quel 16 ottobre furono 1266 ebrei - specifica Anna Foa, storica di religione ebraica, editorialista dell’Osservatore Romano e figlia di Vittorio - 252 di essi furono rilasciati già il pomeriggio del primo giorno dal Collegio Militare di via della Lungara, dove erano stati riuniti, perché misti o coniugi ebrei di matrimonio misto (…) Restavano 1016 persone. 434 di loro furono arrestati nel territorio dell’ex ghetto, 565 al di fuori. Il 98% erano ebrei italiani, l’82% romani. Gli ebrei stranieri erano riusciti a nascondersi, aiutati dalla loro conoscenza di quanto poteva accadere o forse anche dall’aiuto dato loro dalla Delasem. Il 27% circa erano bambini o adolescenti inferiori ai 15 anni (273 bambini, di cui 107 sotto i 5 anni). Tra gli uomini e le donne in età adulta (fra 15 e 60 anni) il 58,33 circa erano donne, il 32,83 uomini. Tra gli anziani superiori a 60 anni, il 18% erano donne, il 13,67 uomini”. Ai deportati viene consegnato un foglietto con le indicazioni da seguire:

1. Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d’identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l’appartamento … 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza.

Ricorderà anni dopo Settimia Spizzichino, unica donna sopravvissuta alla deportazione: “Fummo ammassati davanti a Sant’Angelo in Pescheria: i  camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini… e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli… Ma il camion andò avanti fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? ‘Campo di concentramento’ allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il Lager”.

Così l’ufficiale nazista Herbert Kappler descriveva l’operazione in un rapporto inviato al generale delle S.S. Wollf: “Oggi è stata iniziata e conclusa l’azione antigiudaica seguendo un piano preparato in ufficio che consentisse di sfruttare le maggiori eventualità. Nel corso dell’azione che durò dalle ore 5.30 fino alle 14.00 vennero arrestati in abitazioni giudee 1259 individui e accompagnati nel centro di raccolta della scuola militare …. Il trasporto è fissato per lunedì 18 ottobre ore 9”. Destinazione Auschwitz: una destinazione, per moltissimi, senza ritorno.

“Può accadere - scriveva ne I sommersi e i salvati Primo Levi - e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; (...) è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, ‘utile’ o ‘inutile’, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono ‘belle parole’ non sostenute da buone ragioni”. Quanta attualità in queste parole, quanta contingenza. Meditiamo, amici e compagni, meditiamo.