E ora cosa succederà? Si riuscirà a dare un seguito alla straordinaria manifestazione di Roma della Cgil e delle oltre 100 associazioni che l’hanno promossa? Domanda doverosa, visto il clima di lotta e di festa, di rabbia e di allegria, in cui si sono mosse le persone, ordinate, civili, composte che hanno percorso la strada e riempita fino all’inverosimile la piazza. C’era più popolo che alla festa del primo maggio, e non c’erano cantanti.

La maggior parte di quelli che se lo sono chiesti il giorno dopo, la risposta la danno nei termini politici di sempre. La manifestazione servirà a costruire l’unità fra le opposizioni a questo governo sempre più di destra e sempre più incline a dare risposte autoritarie al disagio sociale morale che il paese attraversa? Riuscirà ad unire finalmente la sinistra?

A questa ultima domanda Landini ha già risposto in piazza, affermando di avere una ambizione più grande, quella di costruire l’unità sociale fra le persone che prima la crescita e poi la crisi di questo modello di sviluppo tende a separare e addirittura a mettere gli uni contro gli altri.

I garantiti contro i non garantiti, chi se la cava contro chi non arriva alla fine del mese, i giovani contro i vecchi, gli uomini contro le donne, gli italiani bianchi contro chi viene da fuori, dai monti e dal mare, e contro gli stessi italiani colorati. E poi gli operai in pericolo di perdere il loro posto di lavoro contro i giovani che si battono contro il riscaldamento climatico e l’inquinamento che distrugge la vita di tutti. Se questa è la vera domanda, come ricostruire l’unità sociale che sta andando in frantumi, la piazza era già una prima risposta. Una piazza di diversità convergenti, che si sono guardate in faccia, strette per mano e camminato insieme contro il nemico comune, quello che con la logica spietata del profitto e del mercato come unico regolatore dei rapporti tra gli uomini, distrugge ambiente e distrugge lavoro, riproduce il patriarcato e prepara la guerra.

Come continuare a camminare insieme, questo è il vero problema. Landini ha fatto a questo proposito due esempi piccoli, “quotidiani”, ma proprio per questo estremamente importanti. La casa dei riders, che la Cgil, assieme ad altre associazioni di base, ha messo in piedi a Palermo. Un posto dove i giovani e i non più giovani, bianchi e colorati, che per vivere, o meglio per sopravvivere, con paghe da fame, senza diritti e senza certezze di futuro, girano la città per portare prodotti a domicilio, possano fermarsi un momento per prendere un caffè, caricare il telefono, guardarsi in faccia e ragionare su come costruire insieme un futuro diverso.

Un posto di solidarietà vera, perché la solidarietà vera non è – e qui Landini parlava ai suoi – quella fra eguali, solidarietà è farsi carico dei più deboli, un dovere morale e un dovere politico, perché gli stessi diritti di chi oggi ha un lavoro più o meno sicuro sono in pericolo se continua ad aumentare il lavoro senza diritti.

E poi Caserta, in cui la Cgil ha recuperato, anche qui assieme a una rete di associazioni, uno spazio urbano degradato, e ne ha fatto un parco, in cui possono giocare i bambini, in cui gli anziani possono passeggiare, uno spazio pubblico per stare insieme, perché il primo dovere di chi vuole costruire l’unità sociale è impegnarsi perché nessuno sia abbandonato alla solitudine.

Sono due esempi che indicano la direzione di marcia futura della Cgil: un sindacato inclusivo, che sappia dare rappresentanza, potere di contrattazione e diritti a tutto il lavoro, e un sindacato di strada capace di accompagnare chi lavora dentro i problemi delle città e dei territori. Per una vita degna, come degno deve essere il lavoro. Ma affrontare i problemi della strada il sindacato non può farlo da solo. Per farlo ci vuole orgoglio e nello stesso umiltà, riconoscendo e imparando da chi ha maturato la propria cultura dei diritti fuori e qualche volta persino contro il sindacato, come i movimenti femministi e ambientalisti. E riconoscendosi - Landini lo ha fatto nelle sue conclusioni - nel messaggio di papa Francesco, per tenere insieme giustizia ambientale e giustizia sociale, che sono le due priorità fondamentali di un sindacato di territorio.

Né Landini né la piazza di Roma possono prevedere i tempi occorrenti alla sinistra per darsi una piattaforma unitaria al Paese in grado di sconfiggere la destra che ci governa. Ma sia Landini che quella piazza sanno che non c’è tempo da perdere per provare a ricostruire nei luoghi di lavoro e nel territorio, su obiettivi concreti e perseguibili, l’unità sociale perduta.

E che questa unità è la condizione per la stessa rinascita della sinistra. Nella società dove domina l’individualismo e la meritocrazia vince inesorabilmente la destra, e crescono dentro la crisi le stesse tentazioni autoritarie. Già Bruno Trentin chiamò “utopia del quotidiano” questa prospettiva politica, di cui il sindacato poteva e doveva essere protagonista, per promuovere e praticare da subito, nei luoghi del lavoro e della vita, la autonomia e la libertà possibili, e saldare, a partire da lì, le sensibilità e le intelligenze necessarie a un altro mondo possibile. Gli esempi richiamati da Landini ci dicono che questo compito, certamente difficile, può essere persino gioioso.