La Costituzione italiana è la via maestra anche quando si parla di pena. Sono ben due gli articoli che si riferiscono a questo tema, non una cosa scontata, frutto del contesto storico dal quale nasce la nostra Carta costituzionale, quella dittatura fascista che aveva portato molti dei costituenti a conoscere direttamente l’esperienza del carcere, a vivere questo mondo, a entrare in contatto con chi in questi luoghi era recluso anche per reati comuni, a capire quanto la pena non dovesse essere abbrutimento, ma bensì guardare al reinserimento sociale delle persone.

Quanto il carcere, spesso, non sia il luogo giusto per questo e, di conseguenza, non debba essere il centro del sistema sanzionatorio.

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“Bisogna aver visto” diceva Pietro Calamandrei in un suo scritto. Bisogna aver visto per rendersi conto di tutto questo. E non è un caso che nella Costituzione di carcere non si parli mai. L’art. 27 fa riferimento a pene, al plurale, sottolineando come queste possano essere molteplici e come debbano sempre tendere alla rieducazione della persona. L’articolo 13, poi, precisa come sia punita ogni violenza fisica e morale sulle persone private della libertà personale. Di fatto, in questo articolo della Costituzione c’è la proibizione della tortura, che il legislatore ha poi atteso oltre 70 anni per codificare all’interno del codice penale.

Guardare oggi a questi due articoli è fondamentale. Il sistema penale è spesso utilizzato come strumento di consenso. Le politiche sono sempre più carcerocentriche. Solo nei primi 12 mesi dell’attuale governo abbiamo visto norme penali contro organizzatori e partecipanti ai rave party, nuove norme penali contro i minori, aumenti delle pene per i reati legati alle sostanze stupefacenti. In questo momento, al Senato, è in discussione un disegno di legge per l’abolizione del reato di tortura.

Guardare alla Costituzione significa contrastare queste politiche penalpopulistiche. Ma significa anche approntare le politiche di prevenzione affermando gli altri diritti riconosciuti nella Carta, quelli al lavoro, all’eguaglianza, al pieno sviluppo della persona umana.

Il carcere oggi, ma storicamente, è un luogo che contiene povertà e marginalità sociale. Se non si investe su questi fronti sarà difficile mettere in campo un’efficace politica di prevenzione dei reati. Sicuramente a questo compito non possono assolvere le politiche penali. La Costituzione è per questo la via maestra, che ci indica una strada, quella sociale.

Andrea Oleandri, Antigone