Siamo 100 persone, abbiamo complessivamente 100 euro, ma in 5 si accaparrano quasi dieci euro a testa, mentre gli altri 95 hanno in tasca solamente 56 centesimi. I primi possono comprare una bistecca, un pacco di pasta, un chilo di verdura e un filone di pane, i secondi uno o due panini al massimo (vuoti, naturalmente).

Questa semplificazione serve a spiegare quella che sembra una non notizia, perché non contiene alcuna novità, ma che è utile a riportare l’attenzione sulle persistenti e odiose disuguaglianze nel nostro Paese: il 5% delle famiglie italiane detiene ben il 46% della ricchezza netta totale. E, dettaglio non trascurabile, il calcolo è stato fatto senza il computo della ricchezza accumulata con l’evasione fiscale e il sommerso.

Il dato, riferito al 2022, proviene da un report sui primi risultati di statistiche ancora inedite di Bce e Banca d’Italia riguardo alla ricchezza delle famiglie italiane ed europee. Un documento dal quale emerge che principali indici di disuguaglianza sono rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016. Stabile, è evidente, non vuole dire migliorato e quindi ancora si è lontani dalla via che porta verso il superamento delle disuguaglianze.

E ancora, la metà più povera della popolazione ha a disposizione meno dell'8% della suddetta ricchezza totale. La forbice è larga e in Italia a pesare sul calo notevole della ricchezza netta mediana è il mancato recupero nel periodo successivo alla crisi dei debiti sovrani, tanto che nel rapporto si parla di una peculiarità italiana.

Il fattore casa 

A salvare una parte del ceto medio è il famoso mattone, perché la metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni. Se sei padrone della tua casa, hai magari terminato di pagare il muto o ne hai uno non troppo oneroso, hai già alleggerito il peso sulle tue entrate, mentre chi paga un affitto, soprattutto nelle medie e grandi città, vede oltre la metà di uno stipendio volatilizzarsi per il canone.

“Le abitazioni raggiungono i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana (il 50% più povero, ndr), si attestano poco sotto il 70% per quelle della classe centrale mentre scendono a poco più di un terzo per quelle appartenenti alla classe più ricca”, si legge nel report. Più si sale nella scala del censo, meno peso ha il possesso della casa, perché coloro che sono benestanti hanno ben altre ricchezze.

Solo i ricchi investono

Il portafoglio delle famiglie più ricche, infatti, è composto per quasi un terzo “da capitale di rischio legato alla produzione (azioni, partecipazioni e attività reali destinate alla produzione) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative”. È piuttosto difficile infatti che chi a malapena arriva alla fine del mese possa accantonare denaro da investire nella finanza e, se anche riescono a risparmiare qualche euro, le famiglie più povere li mettono in un conto deposito, mentre quelle attorno alla fascia media li impegnano in titoli a basso rendimento perché meno rischiosi.

In ogni caso i depositi in Italia “rappresentano una delle principali forme di risparmio finanziario (oltre un quarto della ricchezza finanziaria delle famiglie)”. Questo equivale anche a dire che sono invece più ridotti gli investimenti in attività, in società e comunque questi vedono prevalentemente protagonisti coloro che si collocano nella fasce del 10% dei più ricchi, benché tali investimenti abbiano visto un incremento per il ‘ceto medio’ a partire dal 2010.

E c’è chi ha i debiti

E poi ci sono le famiglie che finiscono con l’indebitarsi, perché le entrate non riescono a coprire il fabbisogno dei componenti. Il report ci dice che “in particolare è interessante osservare il rapporto tra debiti e attività per le famiglie più povere, che hanno maggiore necessità di finanziamento per far fronte alle proprie esigenze di spesa. Per tale gruppo di famiglie il rapporto è salito rapidamente tra il 2010 e il 2014, per poi riportarsi nel 2016 ai livelli iniziali; dal 2018 in poi è tornato a crescere leggermente, ad eccezione del temporaneo crollo durante la crisi pandemica”.

Mal comune non è mezzo gaudio

Infine il confronto con gli altri Paesi di area euro: “Sulla base dell’indice di Gini (che misura le disparità nella distribuzione del reddito o della ricchezza, ndr), la Germania appare il Paese con il maggior grado di disuguaglianza in termini di ricchezza netta. L’Italia si colloca su un livello inferiore a quello dell’area dell’euro, simile a quello della Francia e superiore a quello della Spagna”.

In Germania il 5% delle famiglie detiene il 48% della ricchezza (due punti in più dell’Italia) ed è “molto più bassa la quota della metà più povera delle famiglie, in parte per il maggiore ricorso all’affitto della prima casa”. In ogni caso alla fine del 2022 “le famiglie italiane sotto la mediana avevano una ricchezza media di circa 60.000 euro” (calcolo che comprende la casa, il denaro nei depositi e quello investito), vale a dire il triplo delle rispettive famiglie tedesche. Una magra consolazione che ci riporta a una situazione di stallo italiano sul piano delle disuguaglianze e a una forbice che non tende ancora a chiudersi.