... disegnato dai bambini di un centro interculturale che si raffigurano tutti insieme, abbracciati. Pochi metri più in là le maestre di Andria dicono su un grande stendardo: “Lotta”. È solo la descrizione di uno spicchio. Ammirando la platea dalla postazione privilegiata del palco l’immagine resta marcata: c’erano tutti in piazza del Popolo. Tutti i colori, tutte le facce, tutta la voglia di difendere la scuola pubblica. C’era un milione di persone.

Il grande corteo s'era dato appuntamento intorno alla 9 in piazza della Repubblica. Il frastuono dei fischietti verdi, insieme a grandi palloni della Flc svolazzanti a venti metri da terra, accolgono i manifestanti che arrivano a piedi (dalla vicina stazione Termini), e con gli scooter, gli autobus, le biciclette, mentre tutt’intorno il traffico va in tilt complice la pioggia. Talmente tanta gente che gli organizzatori sembrano preoccupati su come gestirli, invitando “calorosamente” tutti quanti a posizionarsi dietro lo striscione d’apertura che recita “Uniti per la scuola di tutti”. Altrimenti non si può partire. E in effetti ci si muove un po’ tardi rispetto al programma, mentre cinquecento metri più il là, da largo di Santa Susanna, continua ininterrotto il flusso di gente. Verso le 10 finalmente si parte. Qualche faccia stanca (c’è chi è arrivato da Trapani viaggiando per tutta la notte), mamme preoccupate per il futuro dei propri figli, liceali che gridano con lo stile di una curva da stadio. Diversi atteggiamenti e un ideale che li accomuna: “vogliamo solo difendere la scuola pubblica”, urla una donna arrivata con la figlia e la nipote, tutt’e tre mano nella mano.

Tre o quattro chilometri di marcia per arrivare a piazza del Popolo. Poco prima di mezzogiorno gli interventi dal microfono annunciano “siamo un milione”, e l’inno nazionale (i ragazzi lo cantano convinti) suonato da una banda apre il comizio. Che in realtà parte mentre dal Pincio (dietro al palco) il corteo sta ancora scendendo. L’obiettivo “generico” è la ministra Gelmini, raffigurata in un’infinità di maniere (divertente la sua immagine “santificata” con la scritta “Beata ignoranza”) e fischiata con ogni mezzo. L’obiettivo vero, invece, individuato dalla piazza come vero autore del complotto contro la scuola pubblica, è il titolare dell’Economia Giulio Tremonti: “No al ministro unico”, si grida ogni volta che gli altoparlanti ne diffondono il nome.

Solo la scuola poteva tirare fuori così tanta creatività e allegria da una piazza che protesta. Citazioni dantesche (“Per me si va per la città dolente… con voi non si va da nessuna parte”), e in greco antico. Insieme a slogan a volte ironici, spesso arrabbiati ("vergogna, vergogna" l'ha gridato al governo tutta la piazza). Piazza Venezia sembra quasi una scuola occupata. Un ragazzo seduto a terra legge un libro, altri discutono, mentre in un angolo gli uomini di Di Pietro raccolgono le firme per il referendum abrogativo e in un altro Diliberto si fa fotografare con gli studenti. Ma non era la giornata della politica. I comizi dei dirigenti sindacali vengono ascoltati con trasporto, applauditi e incoraggiati senza alcuna divisione tra autonomi e confederali. Si finisce verso l’una. La folla s’incammina verso casa, pacifica come quando era arrivata. Appuntamento al 14 novembre per lo sciopero generale dell’università, quando studenti e insegnanti “ricambieranno il favore” dei tanti colleghi arrivati oggi dagli atenei, perché la protesta è una sola. Intanto si torna in classe.