Ritorno del voto in condotta nella scuola secondaria di primo grado che farà media con le altre materie, riparazione a settembre per gli studenti delle superiori che la condotta se la sono vista giudicare con un sei, attività scolastiche di riflessione al posto dell’allontanamento da scuola per chi incorre in due giorni di sospensione e cittadinanza solidale presso strutture convenzionate se la sospensione è dai tre giorni in su. È annunciando queste misure che il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ritiene di potere mettere mano ai fenomeni di violenza nelle scuole, dopo i casi di cronaca che hanno visto vittime gli insegnanti. 

Non è certo un coro unanime di assenso quello che si è alzato dopo l’annuncio. Sono in molti, insegnanti, pedagogisti, psicologi, sociologi, ad affermare che non è questa la strada che si deve intraprendere se ci si vuole occupare di scuola, di giovani e di disagio. È di questo parere Mariapia Veladiano, scrittrice e in passato insegnante di lettere e preside a Vicenza con una laurea in Filosofia e una in Teologia, la quale, da noi intervistata, precisa subito che “già l’espressione ‘condotta’ è una semplificazione e un termine inappropriato, perché sono oramai anni che si parla invece di ‘capacità relazionali’, bella dicitura che si dovrebbe mantenere". 

“Il tema della condotta è sempre molto seduttivo per la politica – ci dice -, perché si presta a semplificazioni demagogiche. Inoltre non c’è nulla di nuovo sotto il sole, visto che i temi sono gli stessi avanzati al tempo della riforma Gelmini, 15 anni fa: bisogna combattere il bullismo, bisogna dare un segnale forte”. Inoltre alcuni dei provvedimenti targati Valditara “sono già presenti da tempo nella scuola, dove, ad esempio, non è più previsto l’allontanamento fisico in caso di sospensione e sono anni che diamo sanzioni di tipo sostitutivo, con la presenza a scuola e preparando elaborati che riguardano i temi della cittadinanza”. 

La scrittrice ricorda poi che la condotta non è una disciplina, quindi viene "riparata" a settembre associandola a educazione civica, una materia che, in realtà, è da anni trasversale ad altre discipline.  Fa poi sorridere il paradosso ricordato da Veladiano: quando fu reintrodotto il voto in condotta alle superiori, l’unico effetto riscontrato fu quello di un innalzamento della media dei voti, perché, ad esempio, un 8 in condotta dà una bella a mano a chi ha valutazioni che oscillano tra la sufficienza e poco più. “La scuola – osserva – è una comunità che di norma usa strumenti legati alla formazione dell'educazione e che sono più delicati e competenti rispetto al voto”.

I provvedimenti, aggiunge, messi in campo si occupano solamente della punta dell’iceberg, “di comportamenti che sono effettivamente accaduti, ma che rimangono eccezionali, ed è bizzarro perché poi tutto il resto rimane sommerso, in quanto noi viviamo in una società che ha un bullismo interiore. Tolleriamo la violenza verbale nella politica”, ma poi "agiamo solamente su quella che rileviamo all’interno delle scuole, dove ci sono più o meno 8 milioni di bambini e ragazzi e gli episodi in questione, pur essendo gravissimi, sono percentualmente pochi. Insomma non possiamo dire che tutti i nostri ragazzi son bulli”. 

“Credo che il compito di un ministro - afferma Veladiano - non sia quello di inseguire il sentire comune, ma in qualche modo di orientarlo verso una posizione di maggiore riflessione, di equilibrio. Motivo per il quale i provvedimenti decisi velocemente raramente hanno portato a qualcosa”. L'ex preside non chiede però che sia messa in atto una nuova riforma della scuola, visti gli esiti delle ultime riforme, rimaste, per altro, spesso non completamente attuate e che mai hanno tenuto conto di quanto di buono le precedenti avevano introdotto. 

Quello di cui invece la scuola necessità è un lavoro “scevro da ogni massimalismo, in quanto stiamo parlando di piccoli organismi, di singole comunità scolastiche che hanno bisogno di cura, non di essere riparate, perché siamo di fronte a una realtà complessa da conoscere e anche da amare”. 

Tra gli esempi di interventi auspicabili, per Veladiano, ci sono quelli sugli edifici scolastici, da riqualificare senza che diventino un puro insieme di aule; poi naturalmente bisogna intervenire sulle risorse che nel nostro Paese vedono la scuola “ridotta a Cenerentola”; c’è il sistema di reclutamento degli insegnanti, per il quale è necessario tornare ai concorsi triennali ed evitare, come accade, che ci sia una massa di professionisti in crisi lavorativa che decida di insegnare, ma senza la passione e la preparazione necessaria di chi sceglie veramente questa professione. Non basta una laurea per sapere insegnare. 

“C’è una mancanza di considerazione sociale della scuola e degli insegnanti”, afferma. Una considerazione che andrebbe ripristinata anche con una giusta retribuzione per educatori e docenti: “Bisogna che tutta una comunità si riconosca intorno alle scuole: la legittimazione non avviene attraverso norme di condotta, ma attraverso la costruzione di una nuova cultura della formazione per la società. Non è così semplice”.

Veladiano ricorda anche il problema della crescente dispersione scolastica e pure per questo richiama la politica a non agire per un mero calcolo elettorale, ma per il bene dei ragazzi. “Bisogna avere tanta pazienza per mettere mano a una situazione complessa come quella in cui si trova oggi la scuola. È necessario avere estrema prudenza e saggezza. I ragazzi cambiano e l’azione degli adulti può veramente far mutare un atteggiamento da negativo a positivo, da disinteressato a interessato".

"Il nostro compito – conclude – è non perderne mai nemmeno uno, fare in modo che non vengano mai allontanati dalla scuola perché la figura della segregazione, dell’allontanamento, può essere consolatoria per quelli che restano, ma sul lungo periodo crea un disastro a livello sociale. I ragazzi sono davvero meravigliosi, possono veramente rinascere e la scuola deve essere il loro luogo di rinascita”.