Chiudere le 10 sedi disclocate lungo lo stivale, spostare tutti i lavoratori a Milano ma per due anni obbligarli allo smart working da casa per l’80 per cento del tempo. E dopo, si vedrà. È questo il progetto di Zurich Assicurazioni, 1.200 dipendenti in Italia, 166 dei quali divisi negli uffici a Bari, Brescia, Firenze, Genova, Modena, Napoli, Padova, Rimini, Roma, Torino. Una riorganizzazione dettata dall’esigenza, dicono dall’azienda, di concentrare la produzione e di ottimizzare i costi fissi.

La pandemia ha insegnato molte cose alle aziende, prima fra tutte la possibilità di risparmiare, semplicemente chiudendo le sedi e trasferendo i dipendenti. Un processo che nel settore assicurativo e bancario era già in atto prima della crisi sanitaria, ma che lo smart forzato per contenere i contagi ha accelerato. E che rischia di diventare un nuovo modello, a cui si sono opposti subito i lavoratrici e le lavoratori, i delegati, i sindacati di categoria Fisac Cgil, First Cisl, Fna, Snfia, Uilca con argomentazioni così convincenti che l’amministratore delegato della Zurich ha ritenuto opportuno sospendere tutto.

“Si tratta di un modello che pone un problema di sistema perché abbina in modo improprio il taglio dei costi fissi all’uso dello smart working – spiega Luca Manenti, Rsa Fisac Cgil di Zurich -. Un conto è l’idea del lavoro agile inteso come strumento per accrescere la produttività e migliorare il benessere, com’è nello spirito della legge che lo regola. Altra cosa è ricorrervi come scorciatoia per ottenere risparmi sui costi fissi. Senza contare il potenziale impatto negativo sui diritti della clientela. Un modello come quello ipotizzato non garantisce un servizio efficiente, puntuale e omogeneo sull’intero territorio nazionale, come Ivass ha sempre richiesto e sollecitato, nell’organizzazione adibita alla liquidazione in particolare di sinistri del ramo Rc auto”.

C’è poi un altro fattore: le assicurazioni svolgono un ruolo strategico di sostegno e rilancio dell’economia reale, mentre chiudere le sedi contribuisce a una sorta di desertificazione del territorio, creando ulteriore divario tra le diverse aree del Paese. E contrasta anche con il positivo stato di salute del settore. “Abbiamo chiesto all’azienda di fermarsi a pensare e riflettere e siamo stati ascoltati – conclude Manenti -. Una retromarcia che ci fa ben sperare, convinti che un modello del genere sia da respingere”.