Puoi cadere migliaia di volte nella vita, ma se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non lo farai mai in ginocchio, sempre in piedi

Il 23 settembre 1985 la camorra uccide a Napoli il giornalista Giancarlo Siani, 26 anni compiuti da poco. Un Giornalista giornalista per citare il titolo di un libro a lui dedicato pubblicato da poco. Un giornalista che tra il 1979 ed il 1985 pubblica 651 articoli, molti dei quali relativi a fatti di camorra. Ma Giancarlo scrive anche di lavoro, giovani, diritti negati, malaffare, corruzione, morti bianche, cultura e movimenti per la pace.

Riporta il sito ufficiale della fondazione a lui dedicata: “Sin dagli inizi della sua attività giornalistica ha dedicato la sua attenzione al mondo dei lavoratori. Le parole più ricorrenti nei suoi articoli sono Lavoro (1336 volte), lavoratori (728 volte), fabbrica (554 volte), disoccupati (292 volte), sindacato (506 volte), Cisl (352 volte), Cgil (290 volte), Uil (394 volte), lotta (364 volte), edilizia (178 volte). Giancarlo Siani racconta, in gran parte dei suoi articoli (circa 220 su 651), i conflitti sociali del Novecento, mettendosi sempre dalla parte delle classi lavoratrici, portatrici di interessi universali e di emancipazione, assetate di giustizia sociale. Anche il Mezzogiorno e i suoi storici problemi sono al centro di tante sue inchieste giornalistiche, sempre concluse con reali e concrete soluzioni delle forze sociali in campo”.

La sua condanna a morte arriva dopo la pubblicazione di un articolo sul Mattino del 10 giugno 1985, dove rivela che l’arresto del capoclan di Torre Annunziata, Valentino Gionta, è avvenuto in seguito ad una soffiata partita dal clan Nuvoletta. “(…) Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo - scriveva Siani - La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di 'Nuova famiglia', i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto 'strafare'”.

Il 15 aprile del 1997 la seconda Sezione della Corte d’assise di Napoli condannerà all’ergastolo i mandanti dell’omicidio (i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante) e i suoi esecutori materiali (Ciro Cappuccio e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza sarà confermata dalla Corte di cassazione, che però disporrà per Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello (il 29 settembre 2003 si svolgerà il secondo processo di appello che lo condannerà nuovamente all’ergastolo, ma il giudizio definitivo della Cassazione lo scagionerà per non aver commesso il fatto).

Il fratello di Siani, Paolo, unico rimasto in vita della famiglia, ricorda il fratello come un ragazzo carismatico, capace di grandi sacrifici, ma anche estremamente solare. “Di noi due, insieme - racconterà in un’intervista - conservo l’immagine di una giornata a Roma, a una marcia per la pace. Io col gesso che gli dipingo in faccia il simbolo anarchico della libertà. E lui che mi sorride”. A Giancarlo Siani sono state intitolate scuole, aule, strade ed un premio giornalistico ne tiene viva la memoria.

"Da grande voglio fare il giornalista", scriveva su Il lavoro nel Sud nel luglio 1979. Grande, almeno anagraficamente, Giancarlo non ha mai avuto la possibilità di diventarlo, ma giornalista professionista sì. Un titolo conferitogli alla memoria pochi mesi fa, frutto di una scelta dell’Ordine nazionale e di quello della Campania dei giornalisti. “Una decisione - affermava Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine della Campania - che mira a valorizzare ulteriormente il grande impegno professionale di Giancarlo, il cui lavoro è da tempo un simbolo per la nostra professione. Un simbolo per l’informazione corretta, pulita e libera da qualsiasi condizionamento”.

“Consegnare a Giancarlo, 35 anni dopo la sua barbara uccisione, il tesserino di giornalista professionista è un gesto altamente simbolico, che mi commuove e mi fa pensare - scriveva nell’occasione sui social il fratello Paolo - “Mi commuove perché penso che lui quel tesserino lo desiderasse davvero. Mi fa pensare perché l’Ordine dei giornalisti sceglie da che parte stare. E ha scelto la parte più difficile, quella che non va in Tv, che non urla ma che cerca le notizie, anche quelle più scomode. Quel tesserino bordeaux lo dedicheremo a tutti quei ragazzi che vogliono fare i giornalisti in territori difficili e a tutti quei giornalisti che, benché minacciati dalle mafie, continuano a fare il loro dovere e a informarci per la nostra libertà. In fondo questo è il modo migliore per ricordare il sacrificio di Giancarlo”.