“La prima considerazione è di sconcerto di fronte alla più assoluta segretezza che circonda decisioni che potrebbero incidere in maniera profondissima sull'assetto istituzionale futuro del nostro Paese. I contrasti interni all'esecutivo si apprendono dalla stampa, i testi su cui si discute sono tuttora ignoti. Siamo all'approccio privatistico all'architettura costituzionale dello Stato, come se si trattasse di una questione a due tra il governo e le Regioni coinvolte”. A dirlo è Christian Ferrari, segretario generale della Cgil Veneto, commentando la riunione, che si terrà giovedì 11 luglio, tra i componenti del governo titolari del dossier sull'autonomia differenziata.

“La nostra richiesta è innanzitutto che l'opinione pubblica sia informata nella maniera più trasparente di ciò che sta succedendo e, cosa ancor più rilevante, che il dibattito sia portato al più presto in ambito parlamentare, con deputati e senatori che devono potersi esprimere nella totale libertà, al contrario di quanti teorizzano l'esautoramento delle Camere che dovrebbero limitarsi ad approvare un pacchetto blindato deciso altrove”, prosegue l'esponente sindacale.

Per quanto riguarda in particolare il tema dell'istruzione, si tratta di “uno degli aspetti più preoccupanti della proposta del Veneto. La scuola pubblica è un pilastro irrinunciabile della coesione e dell'unità del Paese. Regionalizzarla vorrebbe dire infliggere un colpo pesantissimo non solo all'idea di Paese unitario, ma anche alla stessa identità nazionale. Che siano i cosiddetti sovranisti ad avallare una simile operazione è sintomo di quanto le parole siano ormai svuotate di qualunque significato”.

Per Ferrari appaiono “poco credibili le parole tranquillizzanti di chi, di fronte all'allarme che sta crescendo nella società, tenta di nascondere sotto la moderazione del linguaggio la radicalizzazione dei contenuti. Regionalizzare, come chiede la giunta regionale, le istituzioni scolastiche e il reclutamento del personale, i concorsi e i ruoli, la contrattazione e il rapporto di lavoro – dai dirigenti scolastici al personale Ata, passando per gli insegnanti – equivale a regionalizzare tout court l'istruzione”. La Cgil si dice contraria “sia perché riteniamo che lo strumento migliore per tutelare i lavoratori sia il contratto collettivo nazionale, sia perché riteniamo che nel 2019 abbiamo bisogno di una scuola nazionale, aperta al mondo, e non certo di un'istruzione rinchiusa dentro i confini regionali”.

Ragionando in termini più generali, il segretario della Cgil Veneto evidenzia che “il processo innescato non ha nulla a che fare con il federalismo, solidale e cooperativo, di cui avrebbe bisogno l'Italia. Il federalismo è uno strumento per unire un Paese, per migliorare l'organizzazione dello Stato, per avvicinare cittadini e istituzioni. Il federalismo, oltretutto, è sempre stato un percorso unificante intrapreso da Stati e ordinamenti separati nella direzione di costruire un'unica entità statale. Mettere in moto un processo inverso – come nel nostro caso – è possibile e auspicabile, ma sono necessarie la prudenza e l'intelligenza di un disegno unitario complessivo, che eviti quelle derive separatiste che una volta innescate sono molto difficili da contenere. L'improvvisazione con cui si sta procedendo rischia invece, nella migliore delle ipotesi, di cristallizzare definitivamente gli attuali squilibri territoriali, nella peggiore di dare impulso a un'evoluzione centrifuga e disgregativa”.

Tutto questo, conclude Ferrari, non solo “è inaccettabile dal punto di vista dei princìpi costituzionali che noi consideriamo irrinunciabili, ma non è conveniente per il Veneto, perché i nostri interessi economici si possono difendere solo rilanciando l'intero Paese, a partire proprio da quel Meridione la cui domanda di beni e servizi – se incentivata, e non ulteriormente depressa come vorrebbe qualcuno – potrebbe trovare proprio nelle nostre aziende la risposta di cui ha bisogno. L'export, in contrazione, e la microdomanda regionale non sono la soluzione a tutti i nostri problemi; anzi, puntare esclusivamente sui rapporti commerciali con l'estero può rivelarsi del tutto insufficiente a far vivere il nostro tessuto produttivo”.